Emergenza infanzia tra denatalità e autonomia differenziata, focus a Napoli degli Emeriti Fridericiani

154
in foto Carlo Lauro, presidente Apef ed emerito di Statistica dell’Università Federico II

“L’emergenza infantile in Italia è un tema molto complesso e delicato, che riguarda diversi aspetti della vita dei bambini e delle famiglie. Tra questi, ci sono la denatalità, le criticità dell’assistenza sanitaria, le disuguaglianze socioeconomiche ed educative. La denatalità è il fenomeno della riduzione del numero di nascite, che ha raggiunto nel 2021 un nuovo minimo storico: 400.249 nati, meno 1.1% in meno rispetto al 2020 (-28,7% rispetto al 2010). Il numero medio di figli per donna al 2021 è sceso a 1,24 per il complesso delle residenti rispetto a 1,44 negli anni 2010. Nel 2021, la situazione non è migliorata: i nati sono stati 400.249, circa 4.500 in meno rispetto al 2020. Questo calo è dovuto a vari fattori, tra cui l’invecchiamento della popolazione, la diminuzione delle donne in età feconda, la crisi economica, il calo dei matrimoni e la scarsa conciliazione tra lavoro e famiglia”. Carlo Lauro, presidente Apef ed emerito di Statistica dell’Università Federico II, ha aperto così ieri pomeriggio a Napoli presso l’Accademia Pontaniana il secondo appuntamento del ciclo di seminari dell’Associazione dei Professori Emeriti Fridericiani, dopo la tappa al Circolo Canottieri di martedì 28 novembre dal titolo “Elisir di una vita lunga, sana e attiva”.

Il professor Lauro ha tenuto a sottolineare nel corso della sua relazione come “la visione dell’Apef” sia simbolicamente sintetizzata dalla ”rosta” posta sui portoni principali della Federico II, “che abbiamo assunto come nostra icona”. Secondo la visione della rosta, i due elementi principali su cui poggia l’azione degli Emeriti Fridericiani, ha ricordato Lauro, sono “il principio di sussidiarietà” e il “metodo multidisciplinare”, attraverso cui si “realizza attività di trasferimento culturale, scientifico, tecnologico e di trasformazione produttiva delle conoscenze”, mediante “processi di interazione diretta con la società civile, il tessuto imprenditoriale e le istituzioni, affinché la conoscenza diventi strumentale per l’ottenimento di benefici di natura sociale, culturale ed economica”. Il professor Lauro rispetto al tema in esame (“Emergenza infanzia in Italia: denatalità, criticità nell’assistenza sanitaria, disuguaglianze socio-economiche ed educative”) ha anche aggiunto che “le disuguaglianze socio-economiche ed educative sono il divario tra le condizioni di vita e le opportunità di apprendimento dei bambini e degli adolescenti a seconda del reddito, dell’istruzione e dell’origine dei genitori. Queste disuguaglianze influenzano anche la salute e il benessere psico-fisico dei minori, che rischiano di subire maggiori problemi di alimentazione, obesità, malattie croniche, disturbi mentali e abbandono scolastico. In Italia, oltre 5,6 milioni di persone, di cui 1,2 milioni di bambini, vivono in povertà assoluta, una condizione che limita l’accesso a beni e servizi essenziali”.

Carlo Lauro, presidente Apef ed emerito di Statistica dell’Università Federico II

Dopo le parole introduttive di Carlo Lauro, è toccato a Generoso Andria, Emerito di Pediatria dell’Università Federico II, entrare nel vivo della discussione con il suo intervento su denatalità e disuguaglianze socio-economiche ed educative nell’infanzia. “E’ un’emergenza che ha più facce – ha sottolineato – perché è insieme sanitaria, migratoria, ambientale, criminale”. Il professor Andria è partito dal record negativo delle nascite per sottolinea come “i minori in povertà assoluta” siano 1,27 milioni, il 13,4 della popolazione. Ciò si riverbera anche sui livelli essenziali di assistenza, con gravi contraccolpi soprattutto per il sud del Paese. Andria ha poi evidenziato l’urgenza di interventi politici, con un riferimento ai parametri sui servizi alla prima infanzia del Pnrr ed il pericolo di un’autonomia differenziata che può allargare le differenze e diventare una minaccia per il Mezzogiorno. A tal proposito ha citato la proposta di un altro professore merito, Massimo Villone, a capo di un gruppo di studiosi e costituzionalisti che ha presentato una proposta di legge che si propone di spostare alcune materie di potestà legislativa concorrente verso la potestà esclusiva dello Stato.

A seguire la relazione di Mario De Curtis, già Ordinario di Pediatria dell’Università di Roma La Sapienza, membro della Commissione Salute dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Per De Curtis “la bassissima fecondità, che dura in Italia ormai da trent’anni, ha ridotto il numero dei potenziali genitori dal lontano 1977, le generazioni dei figli sono sempre state meno numerose di quelle dei loro genitori. I pochi figli di oggi saranno i pochi potenziali genitori tra una generazione”. Il professore ha anche sottolineato come “un quarto delle donne nate negli anni 80 non ha figli. Nel 2023 entrano nell’età feconda (14-49 anni) 279 mila quindicenni e ne escono 476 mila cinquantenni. Se perdiamo circa 200 mila in un anno, ne perderemo due milioni nei prossimi dieci”. La considerazione che fa De Curtis è la seguente: “La combinazione di bassa natalità e alta sopravvivenza si traduce in una popolazione con meno giovani e molti vecchi. La popolazione ultrasessantacinquenne, che nell’insieme raccoglie 14 milioni 177mila individui a inizio 2023, costituisce il 24,1% della popolazione totale contro il 23,8% dell’anno precedente. Mentre i ragazzi fino a 14 anni di età scendono da 7 milioni 490mila (12,7%) a 7 milioni 334mila (12,5%). Oggi le donne di 85 anni sono più numerose delle bambine di un anno”. Ma quali sono i fattori critici collegati alla denatalità? “Il disallineamento tra orologio biologico delle donne, un’età fertile che inizia e finisce troppo presto, e l’orologio sociale, che prevede un lungo percorso di formazione prima dell’ingresso nel mondo del lavoro e del conseguimento di una sicurezza economica, presupposto della decisione di avere figli”. Ecco alcuni fattori critici collegati alla denatalità evidenziati dal professor De Curtis: “Occupazione femminile (bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro – 52,3% in Italia vs 67,7% in Europa; 35,5% nel Mezzogiorno, 61,8% nel Nord, 57% nel Centro); precarietà del lavoro, bassi salari, difficoltà ad avere una casa. Difficoltà a conciliare cura dei figli e lavoro (nel Mezzogiorno nidi meno presenti, meno frequente tempo pieno nella scuola primaria); aumento della povertà famiglie (soprattutto quelle numerose, monoreddito, di origine straniera, monogenitoriali); mancanza di politiche familiari (per lavoro e casa); emigrazione di giovani dal nostro paese”. Per De Curtis “la decrescita demografica aumenta le disuguaglianze e sofferenze nelle aree più deboli in particolare il Sud. Dal 2014 al 2021 in Italia si è avuto una diminuzione dei residenti del 2%, nel Sud del 4% e in Sicilia e Sardegna del 4,7%. Tra il 2012 e 2021 il Mezzogiorno, fra chi è andato all’estero e chi si è
mosso verso le regioni del Centro-Nord ha subito una perdita netta di circa 157 mila giovani laureati. L’economia del sud arretra anche perché mancano le persone, si riducono i consumatori ma soprattutto manca una classe dirigente in grado di favorire la crescita”. Il professore ha anche sottolineato che “numerose ricerche epidemiologiche hanno messo in evidenza che i bambini poveri da adulti sviluppano più frequentemente malattie cardiovascolari, diabete, malattie neurodegenerative, depressione e psicopatologia. Si è cercato di vedere quali siano i mediatori biologici e molecolari attraverso i quali la povertà possa determinare i suoi effetti sulle aspettative di salute di bambini e adulti”. Nelle sue con conclusioni De Curti ha sottolineato come “tutti i bambini dovrebbero avere pari opportunità di crescita e di cure adeguate.  Oggi l’assistenza sanitaria si presenta come un diritto a contenuto altamente variabile a seconda della regione nella quale si ha la sorte di nascere e di vivere E’ necessario un programma di azione per il contrasto alle disuguaglianze in sanità e che permetta anche ai bambini che nascono o vivono nel sud e ai figli di genitori stranieri di avere il diritto alla salute.  E’ estremamente urgente migliorare le condizioni sociali dell’infanzia e la lotta contro povertà infantile rappresenta una priorità che va messa al centro dell’azione politica affinché ci sia un futuro per il nostro paese. E’ necessario un impegno etico e sociale a favore dei soggetti più vulnerabili”.

in foto Mario De Curtis, già Ordinario di Pediatria dell’Università di Roma La Sapienza, membro della Commissione Salute dell’Accademia Nazionale dei Lincei

Dopodiché è stata la volta di un intervento da remoto della professoressa Annamaria Staiano, ordinaria di Pediatria dell’Università Federico II e presidente della Società Italiana di Pediatria. La sua relazione ha riguardato la denatalità e i futuri scenari demografici, l’abbandono scolastico e la dispersione implicita, la delinquenza minorile, la tutela dei minori online e la educazione digitale, le criticità del sistema delle cure pediatriche, le malattie rare e croniche pediatriche, le sub-specialità pediatriche. A tal proposito, la Staiano ha ricordato la proposta della Società Italiana di Pediatria di “consentire ai medici assunti nel corso della specializzazione di prestare servizio in modo flessibile, sia in ospedale che sul territorio, tenendo conto del grado di autonomia acquisito nel corso del primo triennio di specializzazione”. Così come ha sottolineato l’esigenza di “mettere in rete le pediatrie ospedaliere e specialistiche con il territorio e puntare al riconoscimento anche sul piano assistenziale delle specialità pediatriche”. E “definire una continuità tra formazione di base, formazione specialistica ed educazione medica continua”. Nelle sue conclusioni la professoressa Staiano ha rimarcato come sia necessaria “una riorganizzazione del sistema delle cure pediatriche, che tenga conto dei nuovi scenari demografici e delle attuali criticità assistenziali”. Così come indispensabile appare ” il raggiungimento di una reale integrazione delle attività tra pediatria territoriale e ospedaliera”. Altre priorità evidenziate sono “le misure per contrastare la carenza di medici, che non devono andare a discapito della formazione specialistica e che, soprattutto in pediatria, è strettamente correlata alla qualità dell’assistenza fornita”. A tal proposito ha ricordato come la Società Italiana di Pediatria sia coinvolta nel processo di identificazione delle criticità e di sviluppo di proposte per la ri-organizzazione dell’assistenza sanitaria.

Quindi, la parola è andata a Paolo Siani, direttore UOC Pediatria dell’AORN Santobono-Pausilipon di Napoli e già Vicepresidente della Commissione bicamerale Infanzia e Adolescenza. Siani ha affrontato il tema soprattutto in chiave politica, concentrandosi sulle disuguaglianze che potranno nascere dall’adozione da parte del governo italiano del testo sull’autonomia differenziata. “E’ urgente la promozione di iniziative politiche per combattere le diseguaglianze esistenti nella popolazione infantile, considerando anche l’occasione offerta dal PNRR e il pericolo dell’autonomia regionale differenziata”, ha esordito. “Non è una invenzione recente – ha aggiunto – perché l’autonomia delle Regioni è un qualcosa di previsto anche dalla nostra Costituzione. L’autonomia differenziata però porta con sé un altro aspetto di non poco conto, visto che è anche quello che preoccupa maggiorente i detrattori e gli studiosi della materia, cioè la questione fiscale. Infatti, insieme alle competenze, le Regioni possono anche trattenere il gettito fiscale, che non sarebbe più distribuito su base nazionale a seconda delle necessità collettive”. Di qui Siani ha evidenziato: “Intanto la legge prevede i così detti livelli essenziali di prestazione (Lep), cioè quei requisiti essenziali in ambito di diritti civili e sociali, sulla base dei quali si stabiliscono i finanziamenti a ogni Regione per avere un quadro chiaro della condizione delle singole aree ma anche per evitare un eccesso di divario fra un territorio e l’altro. Secondo il disegno di legge, che dà al governo un anno di tempo per decidere i Lep, le Regioni potranno formulare un’intesa anche senza il decreto del presidente del Consiglio che dovrebbe stabilire i Lep. I finanziamenti verrebbero erogati in base alla spesa storica della regione che chiede l’autonomia. In concreto, significa che se lo stato definisce un livello essenziale delle prestazioni, poi deve anche garantire a comuni, province, città metropolitane e regioni le risorse sufficienti per poterli erogare. In particolare a quelli meno dotati di risorse (ad esempio perché con bassa capacità fiscale). Altrimenti solo i comuni con maggiori risorse proprie potrebbero essere in grado di garantire i servizi previsti dai Lep, entrando di fatto contraddizione con il dettato costituzionale”. Nelle sue conclusioni Siani ha chiesto agli intervenuti di sensibilizzare i propri rappresentanti nelle istituzioni affinché comprendano che la riforma dell’autonomia differenziata non può essere attuata senza che prima i livelli minimi di prestazione siano deliberati e resi operativi. In assenza di Lep, secondo Siani, il Sud rischierebbe la “catastrofe”.