Elezioni e Governo tra sfide e contrasti

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in foto Giorgia Meloni

Riproponiamo l’articolo di Ermanno Corsi apparso sul Roma di martedì 16 gennaio all’interno della rubrica Spigolature

di Ermanno Corsi

Centrodestra in campo con un “vertice” a tre fra i leaders dei fratelli italiani, i leghisti e i forzisti che sopravvivono a Berlusconi. Significativi i loro sguardi al tavolo dell’incontro. Giorgia Meloni, al centro fra i due vicepremier, sembra voler dismettere i panni di Presidente del Consiglio mentre fissa gli occhi dall’alto in basso con i pugni stretti e gli indici puntati in avanti; Matteo Salvini, alla sua sinistra, ha lo sguardo dritto sul cerchio, più ovale che rotondo, posto davanti ai tre e contenente, in bella evidenza, il simbolo della Repubblica; alla destra Antonio Tajani che sposta gli occhi tutti da un lato, mentre le sue mani non sembrano voler star ferme ma nemmeno sapere come muoversi. Un “vertice” per ostentare unità di intenti dopo che più volte si è sentito dire, da uno di loro, che si può essere “separati” in Europa, ma nello stesso tempo ben “affiatati” in Italia? Questa “doppiezza” quanta strada potrà fare?

 ELETTORI DISORIENTATI. Da una parte perché ogni partito punta meno sulla chiarezza e credibilità dei programmi e molto di più sull’abilità accaparratoria di voti in qualunque modo (sempre “valida”, purtroppo, la spregiudicata lezione di Ciriaco De Mita secondo cui i voti non si giudicano ma si contano); dall’altra parte per l’ingorgo e il susseguirsi delle schede che, nel giro di pochi mesi, arrivano nelle mani dei cittadini. Si parte tra poche settimane con il voto  -fuori dal turno generale del 2025-  in 5 Regioni: Piemonte, Umbria, Abruzzo, Basilicata e Sardegna. Un parziale ma significativo test (tra il 25 febbraio e ottobre) che coinvolge parte del nord e parte del Sud. Essendo territori governati dal Centrodestra, non dovrebbero esserci problemi per la scelta di presidenti e consiglieri. E invece braccio di ferro tra meloniani (che appaiono vincenti) e salviniani per la presidenza della Sardegna, mentre per la Basilicata entrano in campo, nel giro a 3, anche i postberlusconiani a sostegno del nuovo mandato per il governatore Vito Bardi.

IL 9 GIUGNO SI CHIAMA EUROPA. Saranno eletti i 76 parlamentari italiani che siederanno a Strasburgo. Una corsa senza esclusione di colpi ora per essere candidati in una delle 5 Circoscrizioni, e poi per uscire vincenti dalle urne. Ma si è sicuri che tutti abbiano un’affidabile preparazione e coscienza europeista? Oppure che tutto si riduca alla conquista di un “prestigio monetario” e a una invidiabile “posizione sociale”? Dubbi e interrogativi sono legittimi. I leaders dei partiti ci stanno pensando. Nel Centrodestra non mancano diversità e dure contrapposizioni. Giorgia Meloni valuta l’opportunità di capeggiare le 5 Circoscrizioni. Salvini non sembra darle tempo con un perentorio “Io non mi candido” mentre cerca di mandare avanti Roberto Vannacci del “Mondo al contrario”. Tajani pronuncia l’ultimativo “o tutti o nessuno”. Nel Centrosinistra Elly Schlein appare tentata dalla discesa in campo, mentre Giuseppe Conte e i suoi Cinque Stelle le pongono un rigido stop. E’ chiaro che è in ballo la leadership dell’opposizione. Ma è ancora più chiaro che, più che per l’Europa, il 9 giugno conta per la conquista delle 15 regioni: la vera mappa del potere in Italia.

PIU’ VOTAZIONI NON SIGNIFICA PIU’ DEMOCRAZIA.I cittadini sono stanchi di promesse a vuoto, giri di parole inconcludenti che prima si ascoltavano nei pubblici comizi e magari c’era la possibilità di vibrate contestazioni “in diretta”. Oggi si usano sale al chiuso con ascoltatori in gran parte preventivamente “selezionati”. La disaffezione verso partiti e politica si tocca con mano (si potrebbe tagliare a fette tanto è compatta…). La verifica si può fare a ogni elezione con l’astensionismo in forte crescita. Le punte più alte al Sud dove i parametri sociali vedono crescere ogni anno i divari. Ultimi dati: nel 2023, 520 mila nuovi occupati quasi tutti al Nord; da Roma in giù aumentano i disoccupati e gli inattivi specie tra i giovani (33,1 per cento). Povertà: i redditi più bassi concentrati nelle regioni meridionali. Stridente, ma significativa, la disparità anche fra i ministri: Guido Crosetto, piemontese di Cuneo, il più ricco con un milione di reddito per il 2023; Raffaele Fitto, pugliese di Maglie, il più povero con appena 22.221 euro.