Giovedì è stata una giornata densa di avvenimenti importanti che, seppure per lo spazio di un mattino, hanno offerto spunti di riflessione di interesse tale da distrarre l’attenzione degli osservatori dalla guerra che divampa a est, sempre in crescendo. Con l’augurio che non accada quanto sta succedendo per il Covid, che ormai è trattato dalla scienza e, ancor più, dall’informazione, come il cattivo vicino di casa che non si riesce a allontanare e quindi si deve sopportare facendo di necessità virtù. Tale augurio è da intendersi amplificato nel caso della guerra che si sta combattendo a qualche ora dal centro dell’Europa e ciò per almeno due ordini di motivi. Il primo, va da sé, è per la inqualificabile carneficina che da quelle parti sta durando ormai da mesi; il secondo è per la distruzione sistematica di ricchezza arrivata già ora a cifre da capogiro. Si aggiungano a essa i danni economici indotti, ancora tutti in atto e con la certezza di ulteriori accrescimenti, che quel conflitto sta provocando. Quindi, in ordine sparso, questi alcuni di quei fatti salienti. La signora presidente della Bce, Christine Lagarde, ha ufficializzato che con luglio si concluderà l’acquisto da parte dell’istituto di cui è a capo dei titoli del debito pubblico di ciascun paese EU. Quasi in contemporanea inizieranno, dopo oltre sette anni, a risalire i tassi dell’euro. Salvo variazioni dell’ultimo minuto, tale aumento sarà di 25 punti base prima dell’estate e di 75 a settembre. Tutto lascia prevedere che entro la fine dell’ anno ne seguirà almeno un altro da 25, per arrivare a un 1% in circa sei mesi. La situazione attuale è che quei tassi si aggirano ormai da tempo intorno allo zero e anche sotto. Quindi, in concreto, l’aumento così com’è, sarebbe parva materia. È l’intero contesto attualmente in essere che desta forti preoccupazioni. Sembra di essere in una di quelle situazioni in cui il medico è costretto a sospendere la cura di un organo a un paziente perché quella terapia, se proseguita a oltranza, comporterebbe seri danni a altri organi. Per quel professionista e la sua equipe ciò costituisce una brutta gatta da pelare. Altrettanto lo è per la Presidente Lagarde e, già da qualche giorno, per il suo omologo alla FED, Jerome Powell. In effetti, fatto un fermo immagine, a livello di strategia globale sembra che le economie mondiali si trovino in un’impasse. Più precisamente, una forma risicata di equilibrio i paesi industriali, sia a occidente che a oriente, nell’ultimo biennio in qualche modo sono riuscite a tenerlo in piedi. Ciò grazie a azioni tattiche, impossibilitati o quasi dalle circostanze a fare altro. Esse si sono così concretate prevalentemente in manovre di politica monetaria, pertanto mai strategiche. Per ammissione degli stessi monetaristi, in primis quelli della scuola di Chicago, lo strumento denaro può essere paragonato a quei medicinali di forte impatto che però vanno dosati con la bilancia del farmacista, come dicono nelle masserie, per tempi brevi, per di più ben determinati. Al momento questa parte della terapia anti crisi deve ritenersi completata e quindi massima concentrazione deve essere posta sulla riabilitazione, cioè su quanto occorre per la ripresa del normale funzionamento dell’economia reale. Tale missione, che deve essere sostenuta dall’ impegno di ciascuna nazione nell’ambito di un programma più ampio messo in piedi da istituzioni sovranazionali e dalle stesse coordinato, se non impossibile certamente deve essere considerata ardua. Strano ma vero, la situazione di disordine che si è venuta a creare, in campo sociale, economico e, in particolare, finanziario, ricorda in qualche modo quella che venne fuori dopo la Grande Crisi del ’29 negli USA, dilagando subito dopo nel resto del mondo e trovò un punto di approdo nella Conferenza di Bretton Woods nel 1944. C’è comunque da premettere che i presupposti delle due situazioni sono completamente differenti, quindi sono solo le loro conseguenze che hanno delle analogie. Volando a alta quota, anche nella circostanza attuale ciò che più di ogni altro evento negativo sta colpendo ai fianchi il welfare raggiunto dai vari sistemi socioeconomici prima della pandemia e della guerra, è conosciuto con il nome inflazione. Essa consiste nella perdita di potere d’acquisto generalizzata del denaro circolante in ciascun sistema economico, anche se presente con valori percentuali diversi, soprattutto dei più importanti, quali il dollaro e l’euro. Si sta presentando ora in modo che venga fuori, come per un appuntamento che si ripresenta negli anni senza una scadenza precisa, l’essenza stessa della moneta. In particolare in due delle sue accezioni più comuni, quella di bene tesaurizzabile e quella di strumento di pagamento. Difficilmente chi non è vissuto nelle caverne, almeno una volta non si sará chiesto cosa sia a conferire a dei pezzi di carta, le banconote, e a dei dischetti di metallo, le monete il cosiddetto potere liberatorio. Più semplicemente, come si dice in gergo, quale sia il meccanismo che permette il loro passaggio di mano in cambio di beni e servizi. Saranno rimasti interdetti o addirittura delusi quanti, di volta in volta, hanno appreso che fondamentalmente, alle spalle del denaro, c’è la potenza del sistema produttivo del paese a cui esso si riferisce, talvolta anche al suo intero bacino di utenza; un esempio è il commonwealth inglese. E poco altro.
Volendo avventurarsi in un esercizio acrobatico senza rete, si può andare con la mente a diversi secoli prima dell’era cristiana proprio nei luoghi dove sarebbe appresso nata quella religione. Definendole con il termine arabo con riferimento alla denominazione che avrebbe contraddistinto quei paesi in epoche più recenti, da quelle zone sono arrivate ai tempi attuali notizie decisamente interessanti. Tra esse quella di una delle tante invenzioni reali o di solo ordine logico che scaturirono copiose dalle menti delle popolazioni che, anche se nomadi, popolavano quelle regioni. Mercanti fin dalla prima ora, prima con le tribù più vicine, poi con altre più lontane, spingendosi a passare qualche braccio di mare- di li l’invenzione del sestante -si accorsero che avrebbero potuto rendersi la vita più comoda abbastanza semplicemente. Notarono infatti che in natura esisteva qualcosa che avrebbe potuto agevolare la loro attività mercantile che si concretava nel baratto. Più precisamente constatarono che i semi delle carrube erano tutti perfettamente uguali. Di conseguenza e se d’accordo, avrebbero potuto acquistare o vendere con un articolato sistema di riferimenti, anche senza che la contropartita fosse un altro bene. In effetti bastava definire per quanti semi fosse cedibile senza difficoltà un sacco di grano, prodotto più che diffuso, o di altro, e tutto il resto sarebbe venuto di conseguenza. La provocazione, presa tal quale dai ragionamenti dei dopolavoristi in ferie, è l’ ipotesi di introduzione, alle spalle dei sistemi monetari esistenti e, allo stato, senza precisi agganci a realtà economiche concrete, di un sistema di valorizzazione legato ai risultati dell’attività produttiva agricola comunemente svolta nonché facilmente collocabile sui diversi mercati.
Che di meglio allora di alcune derrate alimentari, in particolare quelle difficilmente suscettibili di avarie naturali? Un addetto agli scambi ferroviari in pensione chiedeva in maniera retorica ai suoi amici di tressette, se fossero al corrente di ciò che stava succedendo per i cereali a livello mondiale. Lungi dal proporre una nuova Bretton Woods, che l’attento ferroviere è convinto sia la marca di un tonno in scatola, ha invece tirato fuori dal cassetto della memoria ricordi risalenti ai periodi delle grandi emigrazioni. Quelli che “avevano passato l’acqua”, così erano definiti coloro che per lavoro avevano lasciato il paese, inviavano materialmente parte dei loro guadagni a chi della famiglia era rimasto a casa. Esistevano già allora sistemi sicuri -via nave- per fare queste operazioni e un pioniere in materia fu il sorrentino Amedeo Italo Giannini, fondatore della Banca d’America e d’Italia. Il problema nasceva quando le somme arrivavano in Italia, quando gli attoniti parenti si vedevano tra le mani biglietti di banca mai conosciuti prima. La domanda che si ponevano era dove avrebbero potuti trasformarli in “carte”, così chiamavano le banconote in lire, da conservare con devozione nel materasso. Gli ignari passarono attraverso tante avventure pur di raggiungere il loro scopo, non di poco conto quelle con i cambiavalute, talvolta veri truffatori. Chiusa la parentesi amena e certamente senza alcuna nostalgia per un sistema monetario formulato in ragione della sua possibilità di smobilizzo, si può provare a fare un aggancio con l”attuale momento di transizione epocale. Valutare l’ipotesi di ricreare un legame valido tra finanza e settore della produzione, esso potrebbe mettere un limite alla creazione di moneta on demand, con tutti i problemi che un sistema del genere porta con se, soprattutto nelle transazioni internazionali. Letto, approvato e sottoscritto? Tutt’altro, ma certamente da non mettere da parte prima di averne considerato bene lo spirito che che lo ha originato.