Draghi e l’Italia che sembra un’azienda

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in foto Mario Draghi
In tempi normali quanto è stato possibile leggere ieri su un quotidiano sarebbe stato da assimilare a qualcosa che somiglia molto da presso al bilancio di un’ azienda. Chi ha un minimo di competenza di come sia compilato quel documento, è riescito a capire lo stato di salute attuale della realtà che sottintende e a intravedere, per grandi linee, come lo stesso evolverà nel tempo prossimo venturo. Dando nome e cognome a quanto accennato, ieri il Corriere della Sera ha pubblicato un’intervista del direttore, Luciano Fontana, rilasciatagli dal presidente del consiglio Mario Draghi. Il contenuto, lanciato in prima pagina, ne ha riempito la seconda e la terza. In effetti è stato uno di quegli eventi giornalistici destinati a rimanere punto di riferimento nel tempo. Di essi, negli ultimi tempi, si è alquanto ridimensionato l’uso. Solitamente che il direttore di un giornale si rechi di persona da chi dovrà intervistare succede in coincidenza con momenti storici importanti, in occasione di periodi di pausa dal lavoro. In tal modo il pezzo può essere letto con maggiore attenzione e, se del caso, riletto. Il colloquio pubblicato ieri è stato improntato da considerazioni di carattere generale sulla situazione italiana, nello specifico dall’ analisi di quanto è stato fatto dalla macchina statale negli ultimi quattordici mesi. Quindi è stata definita l’attuale posizione del Paese nei confronti di ciò che sta accadendo nel mondo e, probabilmente, accadrà nei prossimi mesi. Il presidente si è dichiarato soddisfatto per quanto l’esecutivo ha fin’ora realizzato e ha lanciato alla politica un appello importante, seppur generico, a procedere su quell’ abbrivio. Altrettanto importanti sono state le sue dichiarazioni sulle variazioni che subirà lo scenario italiano, soprattutto per come è collocato sullo scacchiere internazionale. Draghi ha dato così un’ immagine propositiva di sé e del Paese, facendo intendere che continuerà a svolgere il suo ruolo fino alla scadenza del suo mandato, confermando che non accetterà candidature. Tante altre informazioni hanno riempito la carta stampata e l’etere, provenienti sia dall’interno dei confini nazionali che dall’esterno. Cosa è dire di voler aiutare il presidente dell’ Ucraina Zelensky, altra cosa è farlo concretamente. Come si può, con un minimo di concretezza, negare aiuto, anche in termini di armamenti, a una popolazione che sta subendo violenze di ogni genere, al limite dell’immaginazione, può saperlo solo Dio. Certo lo ignora il suo rappresentante in terra in terra, Francesco per gli amici, l’antipasto per gli altri, che probabilmente ha ricevuto istruzioni chiare dall’ alto o non le ha interpretate correttamente, su come debba articolarsi la sua doppia funzione. Precisamente quella di capo della chiesa cattolica e quella di capo di stato della Città del Vaticano. Stante il fatto che continua a inveire su chi fornisce armi a un popolo che sta cercando solo di difendersi. Senza peraltro aggredire chi lo sta sterminando per sottrargli, oltre alla libertà, anche tutto ciò che possiede. È imbarazzante a dirsi, ma il papa subentrato si sta rendendo complice di uno dei crimini peggiori che possano essere perpretati: il genocidio. E si che la chiesa cattolica ne ha visti di episodi analoghi altrettanto violenti se non ancor più!  Piuttosto che continuare a fare “per viltà il gran rifiuto”, questa volta riferito a una improbabile collaborazione fatta con gesti simbolici e null’ altro, sarebbe opportuno che si astenesse da anatemi che la stessa dottrina dei santi non prevede nelle attuali circostanze. Più di uno di loro ha detto che, in caso di aggressione, è doveroso difendersi, con i fatti dopo aver tentato con le parole. Solo per completezza di informazione, anche il suo omologo ortodosso a Mosca, il patriarca Keryll, non sta facendo meglio. La situazione allo stato è sempre più connotata da risvolti economici che si stanno aggravando giorno dopo giorno. I riflessi di tipo sociale e produttivo si stanno amplificando giorno dopo giorno, coinvolgendo sempre più il mondo intero. Intanto gli esperti della materia escludono che il conflitto potrà concludersi entro quest’ anno. L’ equilibrio economico mondiale in tutte le sue forme, da instabile che era già prima dell’invasione dell’ Ucraina, manda con frequenza crescente segnali di star degenerando verso la precarietà. Draghi ha sottolineato in più di un passaggio dell’intervista che gli italiani devono fin d’ora prepararsi a un rimodellamento delle abitudini, dovendo per forza di cose convincersi a agire con maggiore sobrieta. Non sarà niente del genere day after, ma qualche limitazione dovrà pur essere accettata. Sarà del tipo rinunciare a un pò di calore d’inverno e sopportarne un pò di più in estate, almeno per ora. Da parte sua il capo del governo, accompagnato dai collaboratori coinvolti nella campagna d’ Africa, si recherà già in questa settimana in alcuni paesi del continente nero per stipulare altri accordi di fornitura di idrocarburi. Pur essendo un pensiero bizzarro, sembra che una mano invisibile stia conducendo un gioco sottile volto a riorganizzare gli assetti del mondo. Essa si sta proponendo con una visione diametralmente opposta a quella dichiarata dalla comunità mondiale lo scorso autunno, a Roma prima e subito dopo in Inghilterra, sulla necessità di approdare al più presto a fonti di energia rinnovabili. Con ordine: Putin, oltre all’ Ucraina, ha deciso di annettere alla Russia il Donbass. Guardacaso, il sottosuolo di quel pezzetto di terra è pieno di carbone. Altra coincidenza, attualmente di quel combustibile ne ha un grande bisogno l’India. Senza tralasciare che la Cina potrà comprare tutto il gas che la Russia non venderà più all’ Europa. Per colmare la misura l’ Australia, ricca di giacimenti di carbone, utilizzando per le sue navi solo le rotte del Pacifico, sarà in grado di rifornire senza intralci quei paesi a est del mondo. Da ciò è facile intuire perchè Putin abbia messo gli occhi principalmente su Odessa e le altre città portuali coinvolte nella guerra. Lo schema che avrà fatto nella sua testa l’aspirante comandante in capo del mondo sarà, l’ipotesi non è peregrina, che il blocco a oriente vedrà in qualche modo unite alla Russia, oltre alla Cina già sua partner, anche India e Australia. Meglio non scendere nella quantificazione delle grandezze economiche di tale nuovo asse, non fosse altro che per non trarre conclusioni affrettate e quindi approssimate. Di una cosa invece si può essere sufficientemente sicuri: la lotta all’inquinamento e al cambiamento del clima finirà per essere rimandata sine die. Tale risultato è fin d’ora una sconfitta per la società, non solo quella attuale, ma anche quella che sarà costituita dalle prossime generazioni.