Dotti medici e sapienti al capezzale di Napoli

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In foto Palazzo San Giacomo, sede del Comune di Napoli

Edoardo Bennato aveva già capito tutto quando in Dotti medici e sapienti cantava
Tutti intorno al capezzale

Di un malato molto grave

Anzi già qualcuno ha detto

Che il malato è quasi morto
Non si riferiva a Napoli ma a un giovane immaginario all’indirizzo del quale grida alla fine con tutto il fiato in gola che gli rimane di scappare, fuggire da quel consesso di azzeccagarbugli che può solo ucciderlo.
Non sono dedicati a Napoli i versi di Bennato ma Napoli è proprio nella posizione del malato molto grave che rischia di morire mentre intorno al suo futuro s’interrogano in tanti con altrettante ricette presunte salvifiche.
Tanti, quanti sono gli abitanti della città. Ciascuno apportando il suo contributo di analisi e proposta con una capacità di fare sintesi vicina allo zero. Parlano tutti, e tutti ne hanno ovviamente facoltà, anche e soprattutto chi ha spedito per ben due volte Luigi de Magistris sulla poltrona del sindaco accorgendosi solo ora, dopo dieci anni di nulla amministrativo, che la sua esperienza è stata un fallimento.
Un fallimento per la città, ovviamente (de Magistris parla e agisce come se il fatto non fosse il suo), che si ritrova con un debito di quasi 5 miliardi di euro secondo i calcoli del possibile candidato del centrosinistra, l’ex rettore e ministro Gaetano Manfredi, resosi immediatamente indisponibile all’avventura.
Tra diminuiti trasferimenti da parte dello Stato (destino condiviso con gran parte dei municipi d’Italia) e mancati incassi per la gestione tanto fantasiosa quanto disastrosa dell’ex pubblico ministero, il capoluogo campano versa in una condizione di abbandono che scivola progressivamente verso il degrado con un livello di servizi e prestazioni per i cittadini (e dunque anche verso i turisti che ci auguriamo torneranno) che rasenta l’indecente.
Napoli è fallita nel segno della bandiera arancione e della bandana che annunciavano la spensierata epoca delle parole disgiunte dai fatti, delle promesse al vento, degli impegni che non esistevano nemmeno nelle intenzioni di chi li formulava. Dilettantismo e presunzione hanno informato ogni atto di un uomo e squadra autoreferenziali e lontani mille miglia da problemi che non potevano risolvere perché, prima di ogni altra considerazione, non si preoccupavano di capire.
Una legge che ne risollevi le sorti finanziarie – e la metta in condizioni di svolgere le sue funzioni civili e sociali – potrebbe essere formulata con il consenso di tutte le parti politiche in gioco. Ma il buco è così grande che non sarebbe in alcun modo possibile colmarlo. Solo prendere altro tempo prima che il vuoto torni a far paura.
L’unica possibilità è forse dichiarare il dissesto. È stato già fatto in passato e non è escluso che si torni a farlo in futuro. Le città, come gli esseri umani, nascono crescono e muoiono. Quando le cellule e i loro collegamenti invecchiano e non riescono più a rigenerarsi, allora il destino è compiuto. Se poi aiutiamo il corpo a distruggersi facendo di tutto per fiaccarlo invece che irrobustirlo, il processo di decadimento accelera.
Forse per risorgere Napoli ha bisogno veramente di morire. Di una morte brusca, però, che funzioni da shock nei confronti di chi immagina sia ancora possibile gestire l’impossibile. Che sia ancora possibile usare il corpo della città, la sua storia e la sua reputazione, per piccoli o grandi vantaggi personali o di clan.
Troppi dotti medici e sapienti continuano a muoversi sulla scena del delitto come se la responsabilità non fosse anche e soprattutto loro. Dieci anni di de Magistris sindaco, due mandati pieni, la prima rocambolesca elezione e poi addirittura la conferma. E nessuno tra i professori del cambiamento che oggi ammetta (ed è tardi): ho sbagliato. E si levi di torno.