Donne e carriera, Maria Gabriella Casella: La mia sfida vinta tra tribunale e famiglia

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in foto Maria Gabriella Casella

di Elisabetta Colangelo

Maria Gabriella Casella, in magistratura dal 1986, presidente di sezione dal 2011, è la seconda donna a guidare il Palazzo di Giustizia di Santa Maria Capua Vetere, prima di lei Maria Rosaria Cosentino. Da un anno è alla guida di una struttura complessa, resa ancora più oberata dalla riforma della geografia giudiziaria che nel 2013 ha accorpato tutte le sezioni distaccate, anche di grandi dimensioni, con conseguente confluire di tutti gli affari correnti sul tribunale di S. Maria Capua Vetere. Si tratta di uno tra i 13 grandi tribunali d’Italia, con 98 giudici, ma grossi problemi di carenza di personale amministrativo, oltre a rilevanti questioni legate alla logistica, con strutture inadeguate o con necessario adeguamento antisismico.

Un importante presidio di legalità in un contesto certo non facile, dove quotidianamente confrontarsi con temi spinosi di grande complessità.

Come è arrivata a ricoprire questo ruolo?

Dopo i primi anni come pretore mandamentale a Trentola- Ducenta, un’esperienza forte, ma altamente formativa, con l’istituzione della Procura circondariale sono passata a Napoli, svolgendo diverse funzioni. Ho sempre amato cambiare, rinnovarmi nell’ambito del lavoro, cercando stimoli nuovi e mettendomi alla prova in diversi contesti, così sono diventata giudice penale a S. Maria Capua Vetere, un ruolo di certo non facile, ma fortemente voluto e fonte poi di grande soddisfazione. Era il 1996, anni difficili, gli anni del processo Spartacus, un momento di grande impegno e notevole crescita professionale. Ho fatto poi ulteriori esperienze, fino a diventare presidente della sezione GIP. Nel frattempo ho fatto istanze per concorrere a diverse posizioni direttive nei tribunali d’Italia, volevo cambiare ambiente, confrontandomi con funzioni diverse, cimentarmi nel ruolo di procuratore, ma a quanto pare servivo a S. Maria Capua Vetere e sono rimasta qui come presidente vicario.

Pensa che essere donna possa dare un valore aggiunto al suo ruolo e se sì, in che misura?

Essere donna spesso, sebbene non necessariamente, comporta una maggiore sensibilità verso il prossimo, una maggiore capacità di ascolto e inclinazione alla mediazione, tutte caratteristiche che possono essere molto utili quando si fa un lavoro come il magistrato che giocoforza comporta l’interazione con tante parti e interessi contrapposti, dove sono in gioco l’amministrazione della giustizia nel rigoroso rispetto della Legge e le storie personali di tanti individui.

Ha mai percepito una qualche diffidenza nei suoi confronti in quanto donna nei suoi confronti?

Essere donna in magistratura non mi ha comportato in generale particolari problemi se non nelle fasi iniziali, quando, giovane e poco esperta, sono diventata procuratore mandamentale a Trentola Ducenta. L’ambiente provinciale, i vecchi retaggi maschilisti, sulle prime, si sono avvertiti sotto forma di una certa diffidenza da parte dell’avvocatura e dell’utenza stessa specie di quella parte anagraficamente più matura e tradizionalista che era meno rispettosa nei miei confronti, immaginando, ovviamente a torto, che la giovane età e il genere femminile esprimessero minore autorevolezza. Nel tempo, sia pur breve, trascorso presso quella sede, però, affrontando quotidianamente le continue sfide che un certo tipo di ambiente propone, via via le barriere sono cadute e si è creato un clima collaborativo e costruttivo e ancora oggi ricordo quell’esperienza come una delle più formative della mia carriera. Nel seguito, trasferendomi a Napoli e poi a S. Maria Capua Vetere, non si sono mai create situazioni poco consone, ho sempre ottenuto il massimo rispetto per la mia professionalità, grazie alla serietà di chi ho incontrato e al mio modo di essere riservato, poco incline a mondanità ed eccessi di familiarità.

Facciamo un passo indietro. In che tipo di famiglia è cresciuta?

Sono figlia di un preside e di un’insegnante. Sono sempre stata educata allo studio, al valore dell’impegno. Ho una sorella, anche lei oggi magistrato, studiare insieme, condividere l’impegno e poi la riuscita è stato importante.

Quando e perché ha pensato di orientarsi verso la carriera in magistratura?

Io avevo forte il desiderio di realizzarmi anche fuori dall’ambito strettamente familiare. Inizialmente ho approcciato la carriera universitaria, e la pratica forense, ma il mio interesse più autentico è stato sempre verso la magistratura. Così, un anno circa dopo la laurea mi sono orientata verso questa professione, e sono entrata in magistratura nel 1986.

Spesso per le donne uno dei principali ostacoli all’affermazione professionale è la difficoltà oggettiva di conciliare vita professionale e vita privata. Lei come è riuscita a conciliare questi due aspetti?

Non è un caso che la mia voglia di andare via, di fare carriera, di sperimentare ruoli e contesti diversi, si è compiutamente espressa solo negli ultimi anni, dopo che mio figlio, crescendo, è diventato più autonomo, meno bisognoso di accudimento e presenza quotidiani. Non ho mai anteposto la carriera alla famiglia, credo che ogni cosa vada fatta nel tempo giusto, bilanciando tutti gli aspetti della vita. Lavorando con serietà, provando ad essere presente e attenta come genitore.

Pensa che oggi, rispetto alla sua personale esperienza professionale si possa dire conseguita una piena parità di genere?

In magistratura direi di sì, è un ambiente dove conta essenzialmente il merito, a prescindere dal genere. Sarà che ormai la magistratura è donna, siamo quasi il doppio degli uomini. E’ naturale che una donna che non voglia essere discriminata deve anche lavorare per questo, impegnandosi con pari serietà, garantendo presenza e risultati analoghi a quelli di un uomo, fermo restando le priorità di cui le dicevo. C’è tempo per fare tutto, il lavoro, la carriera, la famiglia, è faticoso, ma ci si riesce.

In che modo lei pensa possano essere rimossi gli ostacoli esistenti per un pieno conseguimento della parità nell’ambito in cui opera?

Un aspetto che tipicamente si rivela problematico nell’organizzazione è quello delle astensioni per maternità che sottraggono magistrati per tanti mesi. Col potenziamento di una figura già esistente come il magistrato distrettuale, assegnato alla Corte d’Appello e a disposizione per sostituzioni di colleghi assenti per lunghi periodi, molti di questi problemi sarebbero risolvibili.

Cosa direbbe ad una ragazza che sta immaginando oggi il suo futuro in magistratura?

Le farei i miei complimenti, una scelta quasi eroica. E’ un lavoro difficile, le strutture spesso non sono adeguate, le dotazioni scarse e la mole di lavoro è tantissima. E’ un lavoro che richiede altissimo senso di responsabilità e attenzione, non è un lavoro come gli altri, ci vuole equilibrio, l’umiltà di imparare, il coraggio di mettersi in gioco, di esporsi se necessario. Ma al netto di tutte le difficoltà incoraggerei questa ragazza, è un lavoro bellissimo che, dopo più di trent’anni, amo come e più del primo giorno.