Donazione degli organi, convegno Mcl: Il trapianto è segno di cultura

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Da sinistra Adriano Peris, Carlo Costalli, Luigi Ferraiuolo, Michele Cutolo, Giuseppe Lucantonio, Antonio di Rienzo

di Paola Ciaramella

Oggi per dire sì alla donazione degli organi le possibilità sono diverse, come ha spiegato Antonio di Rienzo, avvocato civilista, durante il convegno “Donazione e trapianto” organizzato dalla sede provinciale di Napoli del Movimento Cristiano Lavoratori e dall’Associazione italiana notai cattolici, che si è tenuto il 23 marzo all’Istituto di Cultura Meridionale. “Il cittadino può recarsi al comune ed esprimere liberamente il proprio consenso o dissenso alla donazione”, in fase di richiesta o rinnovo della carta d’identità elettronica. “Presso l’ufficio anagrafe dei comuni è stato attivato il servizio di raccolta e registrazione delle dichiarazioni di volontà, che confluiranno direttamente nel Sistema informativo trapianti, il Sit, consultabile 24 ore su 24 dai medici del Centro di coordinamento regionale dei trapianti”. E, ancora, “ci si può recare all’Asl di appartenenza o eventualmente coinvolgere il medico di famiglia, attraverso un apposito modello; compilare il tesserino blu del Ministero della Salute, da conservare con i documenti personali, o rivolgersi all’Aido. L’ultima opportunità è la dichiarazione scritta con dati anagrafici, la dichiarazione di volontà positiva o negativa, data e firma olografa, da conservare anch’essa tra i documenti personali”.
Presente all’incontro Adriano Peris, coordinatore trapianti della Regione Toscana, terra generosa riguardo alle donazioni: “Tutte le regioni presentano gli stessi livelli di tecnologia, perché il programma di donazioni è nazionale. Il problema fondamentale è che i sanitari dovrebbero sfruttare al meglio le potenzialità di donare delle persone che muoiono: da una parte la società deve assicurare che l’informazione arrivi alla gente, dall’altra abbiamo la necessità di strutture sanitarie che applichino bene le leggi e i regolamenti. È assurdo pensare che un ospedale che ha un centro dialisi, dove generalmente passano trenta-quaranta persone, non si ponga il problema delle donazioni, e che lo stesso ospedale non curi bene il diritto a donare. Non è un problema soltanto italiano, ma mondiale, se pensiamo che tutta la parte orientale del globo è indirizzata verso la donazione da vivente, in cui una persona dona una parte del proprio corpo, e di fatto diventa più suscettibile alle malattie e alle complicanze, mentre non viene utilizzata in senso buono e sociale la potenzialità del donatore cadavere – ha sottolineato Peris –. La donazione si può sviluppare solo in contesti socialmente avanzati, come quello italiano, perché il nostro è un sistema socialmente avanzato. E i trapianti non devono essere collocati nella parte avveniristica del nostro sistema, sono una realtà ormai da 50 anni; laddove c’è il trapianto c’è molta cultura”.

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