Diplomazia ucraina preoccupata dai rapporti tra Russia e Italia

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In foto Yevhen Perelygin

Avere il sostegno in tempi di pandemia da Paesi tra loro belligeranti non è semplice, e scende in campo la spontaneità, la solidarietà senza ritorno, ma anche l’opportunità e l’analisi delle supposte intenzioni sottese. In questi giorni i parlamentari ucraini hanno chiesto si  colleghi italiani di prestare la massima attenzione nei confronti della Russia. Mosca, infatti, con il pretesto della lotta alla pandemia, sta a loro dire cercando di liberarsi dalle sanzioni internazionali decise da Bruxelles nel 2014 in seguito all’occupazione russa del Donbass e della Crimea, entrambe regioni ucraine. L’ambasciatore ucraino in Italia, Yevhen Perelygin ha spiegato con chiarezza i motivi per i quali la comunità internazionale deve tenere ben distinta la pandemia dalle sanzioni, evitando improponibili e pericolose sovrapposizioni: “Come sappiamo, il coronavirus ha colpito molte nazioni seminando ovunque morte e dolore. Aiutare chi ha sofferto di più – l’Italia in primo luogo – è stato un atto giusto e doveroso”. “Per questo motivo il mio Paese -tradizionalmente amico degli italiani – all’inizio di aprile ha inviato in Italia tre voli speciali con equipaggiamento e personale specializzato. Venti medici ucraini per tre settimane hanno curato decine di pazienti ricoverati negli ospedali Covid-19 di Pesaro e Urbino, nella regione Marche. È stata una missione di pace, un gesto umanitario autentico lontano dai riflettori e da qualsiasi speculazione economica o propagandistica. Un atto di solidarietà meritatamente apprezzato non solo nei palazzi della politica italiana, ma soprattutto dalle comunità in cui siamo intervenuti. Perché i marchigiani hanno riconosciuto il valore dei medici ucraini impegnati in prima linea negli ospedali trasformati in autentiche “trincee”, fianco a fianco con i colleghi italiani. Mentre la lotta contro la pandemia non lasciava respiro, la Russia  ha cercato di sfruttare quest’emergenza per convincere Bruxelles a cancellare le sanzioni decise contro Mosca per l’occupazione militare della Crimea e di vaste aree del Donbass, territori appartenenti all’Ucraina. E’ evidente come la Russia  abbia cercato di utilizzare il pretesto della lotta contro il virus Covid-19 per allentare o addirittura revocare le sanzioni internazionali imposte dal 2014 e successivamente prorogate a causa dell’aggressione militare russa all’Ucraina. Guerra che ha già provocato oltre tredicimila morti, migliaia di feriti, quasi due milioni di sfollati interni e immense distruzioni. Guerra che la Russia prosegue imperterrita sfidando gli appelli della comunità internazionale  e violando quotidianamente gli accordi per cessare le ostilità. Sono certo che qualsiasi decisione dell’Italia sulle sanzioni imposte a Mosca non dipenderà dai voli militari inviato dalla Russia per fronteggiare il coronavirus, ma dalla fine dell’aggressione contro l’Ucraina e dal ritorno sotto il controllo di Kiev della Crimea e delle terre occupate nel Donbass. Per questo motivo invitiamo i nostri amici italiani a valutare con la consueta imparziale obiettività l’aggressione russa al nostro Paese e , conseguentemente, l’importanza delle sanzioni decise dalla Comunità internazionale. Perché i motivi che hanno dettato tale scelta  non sono venuti meno, anzi. La Crimea che prima dell’occupazione russa vantava più di sei milioni di turisti ogni anno, dal 2014 viene gestita dalle autorità di occupazione come una immensa base militare: secondo i dati disponibili, ci sono oggi più di quarantamila militari russi dislocati nella penisola. Non solo. La Crimea è diventata una terra di illegalità dove regnano i metodi brutali della polizia, arresti immotivati, perquisizioni arbitrarie anche nei luoghi di culto. Le autorità di occupazione stanno forzosamente “russificando” questa regione cercando di  azzerarne le radici culturali ed etniche, sopprimendo l’uso della lingua ucraina e tatara, perseguitando con arresti e processi sommari chi si oppone, costringendo molti ad abbandonare terre abitate da generazioni. Secondo il think tank americano “Freedom House”, nei territori occupati dai russi il rispetto dei diritti civili è peggiore che in Somalia. Sono oltre duecento i cittadini ucraini detenuti dai russi nel Donbass. A Donetsk e Luhansk – le città ucraine occupate nel 2014 – il governo illegale applica nei confronti della popolazione ucraina le leggi usate a Mosca contro i terroristi. Mentre leggete queste righe qualche cittadino ucraino viene selvaggiamente torturato o costretto a sopportare le condizioni disumane delle carceri di Donetsk. Nel Donbass ogni aspetto della vita viene controllato da militari di carriera russi e molti di loro sono a capo delle formazioni terroristiche. Una presenza grave e imbarazzante per la Russia, che fino ad ora ha impedito in tutti i modi agli osservatori internazionali dell’OSCE di accedere ai territori occupati. Se fosse ammessa, l’OSCE potrebbe anche aiutare a migliorare la situazione epidemica nel Donbass che oggi appare molto grave. Nelle aree occupate, infatti, viene impedita la diffusione di informazioni corrette sulla reale diffusione del Covid-19. Un vuoto informativo creato ad arte dalla Federazione Russa che impedisce alla popolazione di riconoscere e prevenire la diffusione del virus. Tutto ciò rischia di trasformare questi territori sottratti illegalmente all’Ucraina in un’autentica “bomba a orologeria epidemica”. Le continue violazioni della Federazione Russa al diritto internazionale e gli attacchi alla sovranità e alla integrità territoriale dell’Ucraina, dimostrano chiaramente che le sanzioni non solo non vanno ridotte o sospese, ma andrebbero anzi rafforzate: questa l’unica via al momento percorribile per costringere la Russia a rispettare i diritti civili e sanitari della popolazione ucraina “ostaggio” di Mosca nei territori occupati. È bene chiarire che le sanzioni internazionali alla Russia non creeranno alcun danno alla sua popolazione nella lotta alla pandemia, ma solo alle persone e alle organizzazioni coinvolte nell’occupazione  illegale del Donbass e della Crimea. Alla capillare campagna di disinformazione russa per la revoca delle sanzioni, è quindi fondamentale che la comunità internazionale risponda con la necessaria compattezza: esse non saranno cancellate finché la Russia non cesserà gli scontri e si ritirerà dalla Crimea e dalle città ucraine di Donetsk e Luhansk. Del resto non può sfuggire che alla soluzione del conflitto nel Donbass è legato in modo indissolubile lo stesso futuro democratico dell’Europa. E che esso dipenderà dalla fermezza con cui le capitali europee sapranno opporsi all’aggressività di Mosca.   La pace, insomma, che Europa ed Ucraina hanno celebrato nel 75° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale con il motto “Never again”, “Mai più”. Nelle stesse ore nelle strade di Mosca veniva invece scandito lo slogan “Mozhem povtorit”, “Possiamo rifarlo”. Impossibile non pensare all’aggressione russa al mio Paese e alla necessità di portare Mosca al tavolo del negoziato. Perché la guerra contro l’Ucraina ormai dura più di quanto è durata la Seconda Guerra Mondiale. E perché l’Europa, la pace e la democrazia non possono permettersi esitazioni o passi indietro. Le parole dell’Ambasciatore ucraino qui riportate sono diverse ma allineate con la lettera inviata al Presidente della Commissione Esteri del Senato Italiano e pubblicata da Formiche.net.