Pochi numeri per definire il fenomeno. Dal 2010 al 2021 sono state intentate in Italia contro esponenti della magistratura 544 cause per responsabilità civile (in media 50 l’anno). In tutto le condanne definitive sono state 8 pari all’1,4 per cento dell’ammontare complessivo delle richieste avanzate da cittadini in cerca di riparazione contro accertati casi di malagiustizia.
Nello stesso arco di tempo i medici denunciati sono stati 385.000 (in media 35.000 l’anno) e anche se solo il 10 per cento del campione è alla fine considerato colpevole si tratta pur sempre di quasi 40.000 professionisti consegnati al rigore della legge (circa 3.500 l’anno) per accertati casi di malasanità. Una situazione che induce il Collegio dei chirurghi a sentirsi sotto attacco.
Dunque, riepiloghiamo. Negli undici anni considerati – 2010/2021 – abbiamo avuto in media 3.500 denunce l’anno per risarcimento danni contro medici a fronte di 50 contro giudici. Trecentocinquanta le condanne per i medici (il 10 per cento dei casi), meno di una l’anno per i giudici (8 in 11 anni). Il confronto appare impietoso: un giudice denunciato per ogni 70 medici.
Ora le possibilità sono tre. O i magistrati sono 70 volte più bravi dei medici (e allora ci sarebbe davvero da spaventarsi per la nostra salute) o sono 70 volte più persuasivi nell’evitare di farsi aggredire quando sbagliano o le regole sono architettate in modo da favorire le reazioni contro il malcontento sanitario e scoraggiare i tentatiti di rivalsa contro il malcontento giudiziario.
Il fatto è che i giudici e il mondo che li circonda fanno paura. I medici, no. L’esperienza insegna che nonostante un importante e quasi plebiscitario pronunciamento popolare (con tanto di referendum) per affermare il principio della responsabilità civile dei magistrati, l’ordinamento si è blindato in modo da rendere inefficace qualsiasi tentativo di averne ragione.
In più le cause costano molto e durano un’infinità di tempo. Tempo che i magistrati hanno in abbondanza (chi gli corre dietro?) e che i cittadini normali amerebbero non perdere perché affaccendati a procurarsi i mezzi per vivere. In quanto ai soldi, i cittadini pagano di tasca propria mentre magistrati e magistratura li mettono sul conto di Pantalone e cioè di tutti noi contribuenti.
Il che dà luogo a un’insopportabile stortura (l’ennesima) per la quale i cittadini devono ricorrere ai propri denari due volte: in forma diretta sopportando le spese degli accidenti giudiziari nei quali incappano, in forma indiretta versando le tasse con cui garantiscono ai magistrati lo stipendio e pure le sostanze che dovessero eventualmente servire a riparare i danni che provocano.
Il confronto è impari. Anche perché i magistrati – parliamo più propriamente dei pubblici ministeri che hanno il compito di sostenere l’accusa e troppo spesso la fabbricano – hanno a loro disposizione, sempre a carico della fiscalità generale, mezzi sofisticati d’indagine e un plotone di poliziotti, carabinieri, finanzieri al loro servizio desideroso di non deluderne le aspettative.
Chi ha avuto esperienza di queste faccende – ma basta leggere un po’ di cronache per farsene capace – sa anche che gli avvocati raramente si arrischiano a consigliare ai propri clienti, seppur assolti dopo il calvario del processo, azioni contro gli inquirenti che con leggerezza distruggono vita e reputazioni senza ritegno né vergogna. Perché imbarcarsi in avventure che portano a niente?
Ora, il coraggioso Riformista – da pochi giorni diretto da Alessandro Barbano – informa dati alla mano che uno dei procuratori più in vista del Paese ha messo sotto inchiesta nella sua lunga carriera il doppio delle persone poi andate a processo. Un innocente per ogni possibile colpevole. Il rapporto è del 50 per cento. Lo stesso risultato si potrebbe avere lanciando la monetina.