Volto del brand partenopeo più amato e odiato nel mondo, Marco d’Amore è nell’immaginario collettivo Ciro Di Marzio, l’Immortale di Gomorra. Dove Volto del brand partenopeo più amato e odiato nel mondo, Marco d’Amore è nell’immaginario collettivo Ciro Di Marzio, l’Immortale di Gomorra. Dove per collettivo si intende il pubblico di settantadue Paesi del mondo, dal Nord Europa al Sud America, dove sono stati acquistati venduti i diritti per la fiction targata Sky ispirata al libro cult di Roberto Saviano. L’infinita querelle sui danni d’immagine prodotti a Napoli dalla fiction preferisce, ma fino a un certo punto, lasciarsela alle spalle. Cita “Napoli è molte città contemporaneamente”, e cita Piovene: “È un luogo unico e universale”. Lo incontriamo alla presentazione del libro di Valerio Grutt “Però qualcosa chiama – poema del Cristo Velato” (Edizioni Alos) presso la Cappella Sansevero impegnato nella promozione del suo nuovo film, “Perez.” (col punto), opera di un altro enfante prodige napoletano del nostro cinema, Edoardo De Angelis. Cresciuto professionalmente nel teatro accanto a Servillo, quanto e cosa è cambiato dopo l’incredibile successo con “Gomorra – La Serie”? Oltre la notorietà, è cambiato lo sguardo degli addetti ai lavori nei miei confronti, perché Gomorra mi ha dato la possibilità di farmi apprezzare da più registi. Non a caso sono riuscito nel giro di pochi mesi ad orchestrare il mio primo film da produttore insieme ad Indiana Production Company. Si chiama “Un posto sicuro”, un soggetto scritto a quattro mani con Francesco Ghiaccio, che sarà anche il regista, e racconterà il caso dell’amianto di Casale Monferrato dove verrà girato il film. Senza Gomorra non mi sarei interfacciato con certe realtà. Gomorra e Perez, Ciro e Francesco, Scampia e il Centro Direzionale: ci sono più Napoli? Sono Napoli molto diverse senza dubbio, situazioni delicate. Ma la mia idea di Napoli prende spunto da una definizione di Guido Piovene che nel suo “Viaggio in Italia” la definì “metropoli in quanto luogo unico ed universale”, perché da qualsiasi latitudine tu arrivi puoi trovarci un pezzo di casa. Napoli è una. I personaggi sono diversi, l’Immortale è un militare, il Corvino di Perez. se spara, spara a vuoto. Gomorra ha avuto un impatto straordinario sulla città che si è divisa ed interrogata. C’è chi pensa che l’immagine di Napoli ne esca fin troppo male. Credo che sia poco serio dover attribuire ad una Serie Tv il compito di dover dare una scossa alla società e di dover risvegliare l’attenzione su certi argomenti o addirittura di insegnare e risolvere i problemi. Se crediamo a questo, significa che il nostro sistema istituzionale è fallito. Si tende a dare troppa importanza a una fiction? Una serie è un percorso che si preoccupa di raccontare una fetta di realtà attraverso biografie, personaggi, luoghi. Noi non volevamo raccontare Napoli, ma entrare nelle dinamiche delle associazioni criminali che partono da Napoli ma si fanno paradigma di un sistema esteso nel mondo. Non a caso Gomorra è venduto in 72 paesi, specialmente in Sud America, dove si vive una realtà analoga. Siamo in Cappella Sansevero, che rapporto hai con questo luogo, che sensazioni ti suscita? C’è un rapporto datato, ho scoperto questa Cappella quando avevo 16 anni ed all’inizio rifiutavo il contatto, perché un po’ mi spaventava, un po’ non riusciva a forzare il muro di scetticismo che la storia del luogo si porta dietro. Poi mi ha conquistato e, come scrive Valerio Grutt, ho ritrovato il Cristo Velato in tanti altri luoghi del mondo. Sei credente? Sono un cattolico atipico. Non credo all’iconografia religiosa classica. Progetti futuri? Teatro, cinema, da attore e da produttore, magari regista? No. Non farò mai il regista.