Si riporta di seguito il testo di Ivan Manzo dal sito ASviS del 18/4/24.
Dal 2015 mai utilizzato tanto carbone, dice il Global energy monitor. La crescita del combustibile fossile peggiore per il clima è trainata dai nuovi impianti in Cina e dal rallentamento delle chiusure in Europa e Stati Uniti.
Dall’Accordo di Parigi del 2015 quasi tutti i Paesi hanno ridotto la capacità delle centrali elettriche a carbone. Su questo combustibile fossile, il più impattante sul clima, tutto sembrava procedere nella giusta direzione, anche se in maniera lenta, almeno fino allo scorso anno.
Secondo lo studio “Boom and bust coal 2024” di Global energy monitor, diffuso l’11 aprile, il carbone nel 2023 ha infatti registrato una inversione di tendenza a causa di un aumento senza precedenti della sua capacità operativa e della crescita “esplosiva” delle proposte di nuove centrali in Paesi chiave per la lotta alla crisi climatica.
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Frena l’uscita dal carbone, la Cina guida l’espansione
L’aumento del 2% della capacità operativa, che in pratica fa riferimento all’uso di centrali a carbone, è stato trainato principalmente dalla Cina, dove si sono registrati i due terzi delle nuove aggiunte degli ultimi anni. Preoccupano poi India, Kazakistan e Indonesia, tutti Paesi che stanno registrando significativi aumenti della loro capacità operativa nel settore. In India, per esempio, le proposte di nuove centrali a carbone introdotte sia dal settore pubblico sia da quello privato sono state le più alte dal 2016. Sono stati inoltre costruiti impianti in Vietnam, Giappone, Bangladesh, Pakistan, Corea del Sud, Grecia e Zimbabwe.
In generale lo scorso anno sono state commissionate nuove installazioni per 69,5 GW (Gigawatt) di centrali a carbone, contro i 21,1 GW dismessi, un saldo nettamente a favore del carbone. Quest’ultimo ha quindi visto aumentare di 48,4 GW la sua capacità totale globale, che ora ammonta a 2.130 GW. Come si evince dalla seguente figura, preoccupa poi il fatto che nel 2023 sia stata ritirata meno capacità installata di carbone rispetto a qualsiasi altro anno dell’ultimo decennio.
Il rallentamento dell’uscita dal carbone risente anche del contributo fornito dagli Stati Uniti e dall’Europa. I primi hanno infatti ridotto a 9.7 GW le chiusure rispetto alle 21.7 GW del 2015, i secondi sono passati dal -14.6 GW, record del 2021, al -5 GW del 2023. Bene però l’Italia che, con la dismissione di 0.5 GW di centrali carbonifere, fa segnare la migliore performance europea dopo il Regno Unito (- 3.1 GW) e insieme alla Polonia (- 0.5 GW).
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Carbone: una crescita di breve durata?
Il ritorno a questa inquinante fonte energetica potrebbe però essere “solo” di passaggio. Lo studio infatti sostiene che i bassi tassi di “pensionamento” del carbone del 2023 ritorneranno a crescere sia negli Stati Uniti sia in Europa. “Le sorti del carbone quest’anno rappresentano un’anomalia, poiché tutti i segnali indicano un’inversione di rotta rispetto a questa espansione accelerata – ha dichiarato Flora Champenois, direttrice del programma “coal” del Global energy monitor -. Ma i Paesi devono chiudere le centrali a carbone più rapidamente, e quelli che hanno piani per nuove centrali a carbone devono assicurarsi che queste non vengano mai costruite. Altrimenti potremo dimenticarci di raggiungere l’obiettivo fissato dall’Accordo di Parigi e di raccogliere i benefici che porterà una rapida transizione verso l’energia pulita”.
La Cina e l’India, i due attuali maggiori consumatori di carbone a livello globale, continuano a influenzare le sorti di questo combustibile fossile, rappresentando collettivamente l’82% della capacità totale di nuove costruzioni annunciate o autorizzate.
Secondo la comunità scientifica, per centrare l’Accordo di Parigi tutte le centrali a carbone dovrebbero essere chiuse entro il 2040: questo è l’unico modo per sperare di limitare l’aumento medio della temperatura terrestre entro 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Ciò richiederebbe la chiusura di 126 GW di centrali a carbone ogni anno. Solo a questo ritmo si potranno dismettere i 2.130 GW di energia prodotti dal carbone nei prossimi 17 anni. In sostanza, vanno chiuse almeno due centrali a carbone a settimana.