Dalla rubrica ‘Approfondimenti dell’ASviS’, sostenibilità: la componente culturale della popolazione resta fondamentale

Si riporta di seguito il testo integrale dal sito ASviS di di Remo Lucchi, presidente advisory board Eumetra, del 20 giugno 2024.

Si parla molto di sostenibilità. Ed è doveroso, considerata la gravità crescente dei degradi ambientali e sociali, e la difficoltà dell’Agenda 2030 a raggiungere i propri Obiettivi. Quindi non c’è ombra di dubbio che le aziende debbano comportarsi in modo sostenibile. Ma al di là del doverismo sociale, ci si chiede spesso se questa correttezza comportamentale abbia anche dei ritorni di immagine e di attrattività interessanti presso i clienti attuali e potenziali, e se rappresenta di fatto la vera soluzione salvifica sul piano ambientale e sociale. Analizziamo insieme questi due temi.

L’attività condotta in modo sostenibile ha dei ritorni per le imprese?
Si parla molto della correttezza produttiva e gestionale delle imprese, e si ritiene doveroso che il comportamento delle imprese debba essere sostenibile. Ormai, però, non desta più meraviglia il fatto che un’impresa sia sostenibile: lo si dà per scontato. E in effetti, verificando la correttezza di un’azienda sostenibile, che agisce e comunica, piuttosto che l’indifferenza di un’azienda che non se ne preoccupa, che non agisce e quindi non comunica, non si notano reazioni particolari di attrattività o rifiuto. È come se tutte le imprese di cui ci si è sempre serviti stessero adottando comportamenti che non creano problemi, senza la necessità di verifiche più attente. Così i ritorni di immagine di investimenti in sostenibilità possiamo dire che non sono significativi.

La sostenibilità aziendale è la vera soluzione?
Il problema è importante, perché il comportamento sostenibile deve riguardare tutte le componenti attive, che siano connessi alla produzione, piuttosto che al consumo. Se i produttori fossero sostenibili, ma i consumatori avessero dei comportamenti di indifferenza, non coinvolti nelle pratiche di sostenibilità e correttezza, il problema sarebbe comunque drammatico. Perché il comportamento della gente possa essere corretto bisognerebbe “iniettare” nella popolazione la componente culturale del senso civico e dell’etica, cioè del rispetto del contesto in cui si vive da tutti i punti di vista. Ma di questa esigenza – connessa alla formazione culturale – nessuno si preoccupa, e quindi solo una parte minoritaria della popolazione ne è dotata.

Peraltro la formazione culturale è anche l’ingrediente fondamentale per raggiungere il benessere, e nelle ricerche sociali si è constatato che chi si percepisce in stato di benessere è indotto a pensare ed investire sul futuro, sul benessere di chi verrà; cioè mette in atto comportamenti corretti e sostenibili. Anche le ricerche sociali dimostrano questa tesi: chi non si percepisce in stato di benessere non pensa affatto agli altri ed al futuro. I propri bisogni di breve periodo hanno la precedenza, indipendentemente dalla correttezza dei comportamenti. Non si vuole sentire parlare di sostenibilità.

Il comportamento sostenibile delle imprese, per quanto fondamentale, non è dunque la soluzione al problema: esiste il problema dei consumatori non in stato di benessere.

E quindi, che cosa fare: la formazione?
Dobbiamo quindi spostare l’attenzione sugli individui. Oggi purtroppo la maggioranza della popolazione non si percepisce in stato di benessere. Di fatto coloro che completano la formazione culturale sono pochi: anche nelle nuove generazioni – ultimi 20 anni –, presso le quali lo studio si è protratto fino alla laurea non sono più del 20%.

E questo non è un problema facile da risolvere, quanto meno in breve tempo, anche se venisse diagnosticato da chi deve prendere delle decisioni. Ma in realtà nessuno si rende conto del problema, e nessuno agisce.

Il tema fondamentale è la non corretta impostazione della formazione culturale. La scuola ha una impostazione rigida e contrappositiva verso gli studenti. E’ la scuola che deve cedere cultura agli studenti, e quindi si deve impostare per essere “desiderabile”. Invece la scuola non fa il “marketing” di se stessa, e non rendendosi desiderabile, e disponibile ad aiutare a risolvere gli eventuali problemi – tenendo conto, fra l’altro, che l’età adolescenziale ne ha fortissima necessità – è percepita distante, e destinataria di sentimenti non positivi: il 75% degli studenti delle medie superiori ha un rapporto di tensione, con desideri di allontanamento. Lo studio non attrae, e viene interrotto.

Le soluzioni ovviamente esistono (come in Giappone), ma c’è la necessità di capire il problema, e di avere la disponibilità a fare progetti di lungo periodo. E quand’anche questa fortuna ci assistesse, i tempi per ottenere risultati sarebbero molto lunghi: il tutto sarebbe certamente da attivare, ma la sostenibilità chiede risposte molto più rapide.

Altre soluzioni? Innanzitutto il clima atteso
Su questo tema ci siamo soffermati più volte, in questi ultimi tempi. Ma stante la sua rilevanza, ed anche la sostanziale inattività della grande maggioranza delle imprese in queste direzioni, si ritiene doveroso riaffermare alcuni concetti.

Si deve sempre partire dalla dimostrazione più volte ottenuta dalle ricerche sociali: la sostenibilità è consequenziale alla percezione del proprio benessere (poco benessere significa poca sostenibilità). Il benessere non è un fatto oggettivo, ma dipende dalla percezione che ci si crea, tenendo conto delle proprie esigenze.

Cerchiamo di capire l’origine di queste attese, e delle conseguenti esigenze. In questi ultimi 20 anni si è sviluppata progressivamente una forte centratura su se stessi. Le nuove generazioni, attraverso il completamento – pur sofferente – delle scuole medio superiori (che fino a 20 anni fa avveniva solo per micro-minoranze), hanno acquisito una propria individualità, un buon senso critico, ed una forte centratura su se stessi. Questa centratura su di sé è rimasta massima, perché ben pochi hanno proseguito gli studi; quindi ben pochi hanno acquisito anche senso civico, etica, ed attenzioni per gli altri.

Questa centratura su di sé ha come implicita attesa l’attenzione verso la propria persona da parte degli altri. Se ciò dovesse verificarsi, la percezione del proprio benessere ne riceverebbe un contributo veramente significativo: la variabile che crea benessere – prima ancora della disponibilità di denaro – è infatti la serenità del contesto della propria esistenza, determinata dall’essere destinatari di attenzioni. Il clima relazionale in cui si vive ha un ruolo determinante.

Il ruolo delle imprese
In questa situazione, le imprese del sistema economico hanno un ruolo prioritario. Tutti gli individui hanno “per definizione” una fortissima ed irrinunciabile relazione con le imprese: il 62% degli individui lavora nelle imprese; il 100% degli individui fruisce di beni, prodotti e servizi messi a disposizione dalle imprese. Quindi si è lavoratori, e clienti/consumatori.

Negli ultimi anni, ed in modo sempre più progressivo, contraendosi progressivamente il benessere, anche come conseguenza della crescente centratura su di sé, e quindi di crescita delle attese, non c’è mai stata rassegnazione come in passato.

non aspettandosi più nulla dal sistema pubblico, le attese verso le imprese si sono progressivamente impennate: non per disporre di migliori prodotti, a prezzi più interessanti, ma per essere aiutati a crearsi un contesto di maggiore benessere. E’ richiesta una sempre maggiore assunzione di responsabilità sociale da parte delle imprese: cioè essere aiutati a vivere meglio – che significa una maggiore attenzionalità – sia come lavoratori, che come consumatori.

Le imprese: il rapporto con i lavoratori
Stante il fatto che il tempo dedicato al lavoro è una percentuale dominante del tempo vitale, il primo obiettivo dell’impresa – per vivere bene – è fare in modo che al suo interno si crei una vera “community”, di alleanze, “fratellanze”, di convergenze di interessi, non solo professionali. Come si è accennato sopra, la relazionalità positiva, la partecipazione ad iniziative di comunanza non solo professionale, crea gratitudine: la gente sta meglio, si sviluppa la partecipazione all’impresa, la relazionalità con l’intero sistema, l’etica. Aumenta il benessere, ed aumentano le propensioni verso la sostenibilità.

Devono essere previsti anche investimenti, ma non solo professionali: ciò che garantisce un massimo di ritorni di gratitudine, sono gli investimenti work-life balance. I lavoratori sono sorpresi, e desiderosi di ringraziare con un massimo impegno professionale.

In più si ribadisce: più benessere significa più sostenibilità.

Le imprese: il rapporto con i consumatori
Nei confronti delle imprese i consumatori non si aspettano più di tanto miglioramenti nell’attività classica: verso la qualità, i prezzi, la distribuzione dei prodotti non si rilevano particolari attese di maggiore vicinanza alle proprie esigenze.

Ci si aspetta invece una maggiore vicinanza relazionale da tutti i punti di vista, pur con evidenti variabilità nei diversi settori di attività. L’importante è che si sviluppi una maggiore percezione di vicinanza per un maggiore benessere dei clienti. I ritorni, già constatati, sono molto chiari: gratitudine, ed aumento di fedeltà; maggiore benessere dei clienti, vita più serena… e più sostenibilità.