Si riporta di seguito il testo integrale dal sito ASviS a firma di Flavio Natale di mercoledì 3 aprile 2024.
Secondo una ricerca di Fondazione Crc e Percorsi di secondo welfare, Italia prima in Ue su spesa pubblica per gli anziani, ma 27esima per le famiglie. Congedo di paternità e asili nido arrancano. Le best practice guidano il cambiamento.
Riuscire a combinare vita privata e professionale è un tema complesso, controverso ma di vitale importanza, strettamente legato alla costruzione di politiche educative e familiari efficaci che hanno la capacità di incidere sull’equa ripartizione del carico di cura delle famiglie. Per questo motivo Fondazione Crc e Percorsi di secondo welfare hanno deciso di dedicare a questo argomento il quaderno “Le politiche di conciliazione tra famiglia, lavoro e servizi per l’infanzia”, pubblicato a febbraio.
Nonostante l’importanza del tema, nel contesto italiano le questioni dell’assistenza e della conciliazione sono stati considerati spesso “in maniera residuale” e le responsabilità di cura e tutela della famiglia sono di solito delegate alle reti parentali. Tra i destinatari delle politiche sociali, infatti, “le famiglie e i genitori sono tradizionalmente stati meno presenti”. Eppure, l’Italia è uno dei Paesi con la spesa sociale pubblica in rapporto al Pil (23,4%) più alta d’Europa (20,4%). Dove vanno a finire tutti questi soldi?
Come si può notare dal grafico, la spesa è decisamente sbilanciata verso la protezione sociale delle persone anziane (in particolare i trasferimenti pensionistici), mentre è tra le più basse d’Europa per quanto riguarda la tutela di famiglie e minori (un salto dal primo posto al 27esimo). Se nel primo caso, infatti, la spesa italiana si attesta intorno al 14,3% del Pil (contro una media europea dell’11%), nel secondo l’Italia si posiziona agli ultimi posti insieme a Grecia e Spagna, con finanziamenti di poco superiori all’1% del Pil (contro una media europea vicina al 2%).
Diverso, ma non meno problematico, il discorso sul congedo di maternità-paternità. Nonostante alcune piccole migliorie (per esempio, il passaggio da uno a 10 giorni per il congedo di paternità), la legislazione in materia sembra ancora “riflettere il familismo tipico del nostro sistema di protezione sociale, poiché in essa possiamo riscontrare una disparità di trattamento tra donne e uomini sia in termini di durata che di sanzioni in caso di inottemperanza da parte del datore di lavoro”.
Ad esempio, il congedo di maternità prevede cinque mesi obbligatori di astensione dal lavoro, retribuiti all’80% e la cui inosservanza da parte dei datori è punita penalmente con l’arresto fino a sei mesi. Per il congedo di paternità il discorso cambia sensibilmente: massimo 10 giorni retribuiti al 100%, e il mancato riconoscimento del diritto non è punito penalmente ma amministrativamente, con una sanzione da 516 a 2.582 euro.
Anche se il congedo di paternità ha visto nel corso degli anni incrementare il numero di padri che ne fa effettivamente uso (tra il 2013 e il 2022 si è passati dal 19% al 64%, un progresso di 45 punti percentuali), bisogna anche rilevare che il suo tasso di utilizzo è ancora limitato e, soprattutto, che diminuisce con il numero dei figli: secondo la ricerca, gli uomini risultano più impegnati sul fronte lavorativo retribuito rispetto alle donne al crescere del numero di figli.
Non va meglio per quanto riguarda gli interventi normativi a sostegno del reddito familiare. Il bonus asili nido, nato con l’obiettivo di incentivare l’utilizzo dei nidi pubblici e privati da parte delle famiglie, non sta sortendo gli effetti desiderati. Al giorno d’oggi, in Italia, non solo “non è garantito un posto in un servizio educativo per la prima infanzia ad almeno il 33% dei bambini e delle bambine di età inferiore ai tre anni”, si legge nel Quaderno, “ma la situazione si aggrava se consideriamo che il raggiungimento di questo obiettivo era atteso 13 anni fa e che ora è stato innalzato al 45% entro il 2030”.
Delle 107 tra province e città metropolitane italiane, solo 30 hanno raggiunto il target del 33% e tre (Ravenna, Bologna e Ferrara) quello del 45%. Anche la copertura di servizi sul territorio nazionale rimane estremamente frammentata, in particolare tra Regioni del Centro-Nord e Mezzogiorno.
Ma non ci sono solo cattive notizie. Il Quaderno di Fondazione Crc e Percorsi di secondo welfare ha compiuto anche un interessante lavoro di mappatura delle best practice che promuovono la conciliazione vita-lavoro (ma non solo), con un focus sul territorio di Cuneo. “4E-Parent”, ad esempio, è un progetto finanziato dal Bando sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza di genere e nei confronti dei minori (Cerv-Daphne) che mira a promuovere il coinvolgimento attivo dei padri nella condivisione dei compiti di cura. Sbrighes!, invece, è un progetto finanziato da Fondazione Cariplo tramite il bando “Welfare in Azione”, che ha come obiettivo “quello di rendere attrattivo e vivace il territorio dei dodici comuni dell’ambito territoriale di Tirano (Sondrio) per contrastarne lo spopolamento”. Infine, il progetto Bi.lanciare, finanziato da Fondazione Compagnia di San Paolo attraverso il Programma Equilibri, sostiene e promuove la conciliazione vita-lavoro delle donne con figli minori nel territorio biellese.
Best practice che però, come sottolinea nelle conclusioni il Quaderno, da sole non bastano. “Per ottenere dei risultati è fondamentale promuovere un cambiamento di paradigma (negli enti pubblici e privati così come nei cittadini), il quale non può che sostanziarsi in una visione condivisa di lungo periodo”.