Si riporta di seguito dal sito ASviS l’articolo integrale del venerdì 12 luglio 2024.
Dalle previsioni catastrofiste a quelle ottimiste, il dibattito sulla rivoluzione del lavoro è aperto: molte le occupazioni a rischio, ma altrettante quelle che nasceranno con l’AI. Necessaria una regolamentazione globale per gestire rischi e opportunità.
Parlare dell’impatto che l’intelligenza artificiale avrà sul mondo del lavoro nei prossimi anni è, al momento, come un salto nel vuoto. Individuare traiettorie, percentuali, andamenti di una tecnologia in evoluzione così rapida – e di una società che a sua volta sta cambiando altrettanto velocemente – è molto complesso, e richiede tempo. I risultati degli studi pubblicati negli ultimi mesi, di orientamento più o meno catastrofista, hanno generato un acceso dibattito, causando una polarizzazione dell’opinione pubblica tra i cosiddetti tecnottimisti – chi è convinto che l’AI apporterà benefici all’essere umano – e i più pessimisti.
Quindi, per cominciare, facciamo un po’ di chiarezza, partendo da un dato abbastanza positivo sulla situazione lavorativa in Italia.
Questa settimana è stato pubblicato il Rapporto Ocse sulle nuove prospettive dell’occupazione, che delinea per il nostro Paese un quadro in miglioramento. Nonostante il livello di occupazione sia ancora al di sotto della media degli Stati più sviluppati, il trend di crescita dei posti di lavoro (iniziato nel post Covid) sta proseguendo a vele abbastanza spiegate. Il tasso di disoccupazione nazionale è sceso, nel 2024, al 6,8%, un punto percentuale in meno rispetto a maggio 2023 e tre punti in meno rispetto alla crisi pandemica, ma ancora al di sopra della media Ocse del 4,9%.
Bene anche l’occupazione totale, che ha visto un incremento su base annua del 2%, registrato a maggio 2024. Entro il 2025, dice l’Organizzazione con sede a Parigi, il gap con le altre economie internazionali potrebbe ridursi ulteriormente, anche se l’Italia resta al palo sul piano dell’occupazione femminile e giovanile, “dove sono necessari ulteriori progressi, anche per coprire il numero relativamente elevato di posti di lavoro vacanti”, e sui salari, che restano molto bassi. La situazione italiana fa dunque ben sperare, e a maggior ragione è importante capire come integrare in questa striscia positiva le innovazioni generate dall’AI, in modo da consolidare i risultati positivi e proiettarsi sempre più avanti.
Vediamo un po’ di previsioni. In un rapporto pubblicato a marzo 2023, Goldman Sachs ha stimato, destando sorpresa un po’ in tutto il mondo, che l’automazione avrebbe portato alla perdita di 300 milioni di posti di lavoro. La banca ha aggiunto però che, nonostante l’alto tasso di sostituzione, l’AI avrebbe potuto anche creare nuovi posti e incrementare la produttività, aumentando il valore annuo totale di beni e servizi prodotti di un +7%. A seguire un rapporto del Fondo monetario internazionale ha rincarato la dose, affermando che il 40% dei posti di lavoro sarebbe stato influenzato dall’AI – e, nelle economie avanzate, questa percentuale sarebbe salita al 60%. L’Ocse, nel suo Employment outlook 2023 (condotto però prima della diffusione capillare di ChatGPT) ha mostrato come il 27% dei posti di lavoro nell’area Ocse sia ad “alto rischio” di automazione.
A maggio di quest’anno una ricerca condotta da Forum PA ha segnalato che l’AI avrà un impatto significativo sul lavoro pubblico, con circa 200mila dipendenti che rischiano di essere sostituiti dalla nuova tecnologia e 1,8 milioni (su 3,2) che dovranno farci i conti. Inoltre, sempre secondo Forum Pa, l’AI impatterà in modo incisivo sulle amministrazioni centrali – come ministeri, agenzie fiscali e altri enti pubblici, dove quasi la metà dei lavoratori (circa 92mila) potrebbero vedere il loro lavoro sostituito dalle macchine. “Le professioni ad alta specializzazione come i ruoli direttivi, i dirigenti e i professionisti”, si legge nello studio, “hanno un forte potenziale di collaborazione, mentre quelle poco specializzate e routinarie sono vulnerabili alla sostituzione”. Sul tema sono intervenuti sia Giorgia Meloni, che dal Summit sull’AI di Seul di maggio ha parlato di una “sfida epocale per l’intera società”, che il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo. Il ministro ha detto che siamo di fronte a un grande cambiamento, che va però affrontato “senza paura”, perché se alcune attività verranno sostituite altre ne verranno create. Zangrillo ha aggiunto inoltre che, dato il forte ricambio generazionale che avverrà nei prossimi otto anni nel settore della pubblica amministrazione (nel 2030 un milione di attuali lavoratori della Pa andrà in pensione), bisognerà cavalcare l’ondata del cambiamento, fornendo ai nuovi assunti gli strumenti adeguati e assumendo giovani talentuosi, invece di lasciarsene sommergere.
Ma quali lavori verranno creati con l’AI? Si parla troppo spesso delle occupazioni che verranno perdute e troppo poco di quelle che verranno generate. Secondo una ricerca della Nexford University, le occupazioni a rischio sostituzione nei prossimi anni riguarderanno aree come servizio clienti, addetti alla reception, contabili, ragionieri, addetti alle vendite, ricerca e analisi, lavoro in magazzino, sottoscrizione assicurativa, vendita alle casse. Mentre quelli a più difficile sostituzione saranno insegnanti, avvocati e giudici, direttori, manager e Ceo, responsabili delle risorse umane, psicologi e psichiatri, chirurghi, analisti di sistemi informatici, artisti. Ma quali saranno i lavori nuovi?
Secondo il “Future of jobs report 2023” del World economic forum, entro il 2027 si assisterà a una crescita in media del 30% di occupazioni come analisti, data scientist, specialisti di big data e machine learning, professionisti della sicurezza informatica, ingegneri dei data center, esperti e ingegneri del cloud. Nuove professioni si affermeranno anche in altri settori: l’AI verrà utilizzata sempre di più per la raccolta di dati sulle emissioni, per gestire la domanda e offerta di energia nei centri urbani (evitando gli sprechi) o negli ospedali, a supporto del personale medico nel monitoraggio dei pazienti e nell’elaborazione di diagnosi e cure.
Questi trend confermano il fatto che, nonostante sia necessario assistere e supportare coloro che subiranno maggiormente gli impatti dell’automazione, l’introduzione dell’AI aprirà anche nuovi orizzonti di occupazione, che dovranno essere sfruttati.
Non cambia però solo il tipo di lavoro, ma anche il modo in cui si lavorerà: secondo l’Ocse, l’AI potrà migliorare la qualità del lavoro soprattutto agendo sulle tre D – dirty, dangerous, dull (sporco, pericoloso, noioso) – automatizzando tutte quelle attività ripetitive, come la posta elettronica o l’ispezione del controllo qualità, permettendo al lavoratore di cimentarsi in compiti più stimolanti e gratificanti.
Una potenzialità rimarcata anche da alcuni esperti di AI, intervistati dalla Bbc. Tra le funzionalità più utili di ChatGPT c’è ad esempio il fatto di essere un assistente personale con cui conversare: “Può aiutarti a fare brainstorming e generare nuove idee”, ha commentato Carl Benedikt Frey, economista e professore esperto di lavoro e AI presso l’Università di Oxford. In campo accademico, ad esempio, Frey ha visto usare ChatGPT per scrivere argomentazioni e controargomentazioni per una tesi, oppure un abstract di ricerca. “Puoi chiedergli di generare un tweet per promuovere il tuo articolo”, ha aggiunto. “Ci sono enormi possibilità”.
Inoltre, l’AI può cogliere alcuni errori o bias che i lavoratori potrebbero trascurare, individuando inesattezze nel testo o segnalando pregiudizi e distorsioni. Un analista che interpreta un set di dati potrebbe andare a cercare prove a supporto della sua tesi, impedendo un’analisi obiettiva, mentre l’intelligenza artificiale potrebbe interpretare i dati in modo imparziale. Allo stesso tempo, però, è anche vero che l’AI ha perpetrato alcuni bias, ad esempio nel processo di assunzione: nel 2017 Amazon aveva creato un prototipo di intelligenza artificiale addestrata sui curricula dell’industria tecnologica (a prevalenza maschile), apprendendo che i candidati maschi e bianchi erano i migliori. Questo strumento ha sistematicamente declassato i Cv delle donne, considerando soltanto quelle che utilizzavano verbi comunemente presenti nei curricula degli ingegneri maschi, tipo “eseguito” o “acquisito”. Altro esempio: una ricerca condotta negli Stati Uniti nel 2020 ha dimostrato che la tecnologia di analisi facciale creata da Microsoft e Ibm ha funzionato meglio su uomini dalla pelle chiara che donne dalla pelle scura. Una serie di bias su cui le autorità governative dovranno vigilare, in modo da evitare che si rafforzino forme di discriminazione.
Infine, il discorso sui lavori che verranno sottratti dall’AI: nonostante le previsioni di sostituzione più o meno catastrofiche, gli esperti avvertono che, se al momento c’è molta diffidenza, nel lungo periodo questo cambiamento potrebbe generare nuove opportunità di lavoro. Lo conferma uno studio condotto da Anna Salomons, professoressa presso la Utrecht University School of Economics, che ha dimostrato come il 60% dei lavori svolti oggi non esisteva nel 1940. L’industrializzazione e l’automazione hanno portato alla creazione di nuove industrie, dalle automobili ai computer, e hanno aggiunto nuovi lavori, dagli autisti ai web designer.
Per questo motivo, si legge sempre nell’approfondimento della Bbc, favorevoli o meno, i lavoratori dovranno cominciare a prendere dimestichezza con questo nuovo strumento, per evitare di restare indietro rispetto ad altri che cominceranno a usarlo. “Penso che i dipendenti che non lavorano con l’AI scopriranno che le loro competenze diventeranno obsolete molto rapidamente”, ha detto Frey. “È fondamentale lavorare con l’intelligenza artificiale per rimanere impiegati, produttivi e avere competenze aggiornate”.
La differenza la farà dunque chi riuscirà a prepararsi a questo cambiamento di grande portata. Ci sta già pensando il Fondo monetario internazionale, che ha elaborato per i decisori politici un “AI Preparedness Index” che misura la preparazione degli Stati per l’integrazione dell’intelligenza artificiale, declinandola in settori quali infrastrutture digitali, politiche del capitale umano e del mercato del lavoro, innovazione e integrazione economica, regolamentazione ed etica.
Utilizzando l’indice, il Fondo ha valutato il livello di preparazione di 125 Paesi. I risultati rivelano che le economie più ricche, comprese alcune emergenti, tendono a essere attrezzate meglio per l’adozione dell’AI rispetto ai Paesi a basso reddito, sebbene vi siano notevoli variazioni. Singapore, Stati Uniti e Danimarca hanno registrato i punteggi più alti dell’indice, in base ai loro ottimi risultati in tutte e quattro le categorie monitorate.
“Guidate dalle intuizioni dell’AI Preparedness Index, le economie avanzate dovrebbero dare priorità all’innovazione e all’integrazione dell’AI, sviluppando al contempo quadri normativi solidi”, si legge nello studio del Fmi. “Questo approccio coltiverà un ambiente sicuro e responsabile, contribuendo a mantenere la fiducia del pubblico”. Per i mercati emergenti e le economie in via di sviluppo, la priorità sarà investire in infrastrutture digitali e in una forza lavoro competente.
Altro strumento di sviluppo e normazione è l’Eu AI act, la legislazione che l’Europa ha messo in campo (prima al mondo) per stabilire alcuni confini dell’intelligenza artificiale. Questo regolamento è stato strutturato per gestire le AI attraverso un approccio basato sul rischio, classificando i sistemi secondo diverse categorie (rischio inaccettabile, alto, limitato e minimo) e applicando norme specifiche in ciascun caso. Ad esempio, si legge sulla Voce.info, “sono considerati ad alto rischio tutti i sistemi di intelligenza artificiale utilizzati dal datore di lavoro o committente per l’assunzione o la selezione del personale, per redigere annunci mirati, per analizzare o filtrare le candidature o per assegnare compiti in base al comportamento della persona, ai tratti o alle caratteristiche individuali”. Ad alto rischio sono considerate anche le AI utilizzate per monitorare e valutare le prestazioni o il comportamento dei lavoratori, come anche quelle che dovrebbero decidere se licenziare o meno un dipendente. Un approccio che potrebbe evitare distorsioni nel mondo lavorativo, che ricadrebbero a pioggia sui dipendenti.
In assenza però di un piano condiviso a livello globale, sarà difficile portare avanti queste trasformazioni senza lasciare nessuno indietro. Per questo il Rapporto ASviS 2023 richiede una “governance etica per l’AI”, aumentando la trasparenza e la partecipazione democratica. Il Rapporto dell’Alleanza richiede di costruire una governance globale per affrontare le minacce poste dall’intelligenza artificiale e arrestare la tendenza crescente dell’utilizzo di sistemi di armi a guida autonoma; inoltre, sottolinea l’importanza del rispetto dei diritti delle persone (tra cui quello all’informazione e all’educazione, messi a rischio dalle fake news) e la necessità di evitare la nascita di nuove forme di discriminazione o il rafforzamento di quelle esistenti.
Un tema, quello della regolamentazione dell’intelligenza artificiale, che sarà al centro anche del Summit sul futuro, vertice Onu che si terrà il 22-23 settembre di quest’anno con l’obiettivo di rafforzare la struttura delle Nazioni Unite per affrontare con più consapevolezza le nuove e vecchie sfide dei prossimi anni, e con l’intenzione di stipulare un “Patto per il futuro” per avanzare a passo spedito verso la realizzazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. In particolare, come ha recentemente sottolineato Jeffrey Sachs, presidente del Sustainable development solutions network (Sdsn) nonché uno dei massimi esperti mondiali di sviluppo economico e di lotta alla povertà, la sfida principale in tema di AI sarà costruire una governance trasparente, condivisa e responsabile.
Il dibattito è dunque ancora molto aperto. L’unica cosa certa, per ora, è che la rivoluzione dell’intelligenza artificiale è già qui: bisogna solo capire quanto tempo ci metteremo noi ad accettarla, per iniziare a guidarla nella direzione giusta.