di Fiorella Franchini
Nino Longobardi non ha seguito né scuole né accademie, si è formato nelle gallerie d’arte, con maestri come Carlo Alfano, Lucio Amelio, Filiberto Menna ed Achille Bonito Oliva.
Oltre a numerose mostre in spazi pubblici e privati, le sue opere sono esposte in importanti musei italiani e stranieri. Nel 2015 partecipa alla 56a edizione della Biennale di Venezia, invitato da Vincenzo Trione nella mostra Codice Italia nel padiglione nazionale.
Negli spazi della D.A.F.Na Home Gallery diretta da Danilo Ambrosino ed Anna Fresa, nella sede di Palazzo Albertini di Cimitile in Via Santa Teresa degli Scalzi, presenta la mostra ‘Multipli’. Fino al 24 gennaio in esposizione 12 disegni a matita e china e nove opere scultoree, realizzate in 30 esemplari numerati e firmati.
Un progetto legato alla mostra “Apparenze”, curata da Achille Bonito Oliva e ancora allestita sino alla fine di ottobre a Castel del Monte di Andria “perché è la traduzione seriale e in scala dell’altra”. La volontà dell’artista è quella di andare incontro a un pubblico sempre più ampio, non per rinnegare il mercato, ma nella convinzione che, “riducendo i costi, l’arte possa essere accessibile ad un pubblico più vasto”.
L’educazione artistica diretta ha plasmato il linguaggio deciso e nitido dell’artista. Le opere sono scarne, dai confini netti, i materiali, china e resina, rimandano alla naturalezza e alla forza delle sostanze semplici e restituiscono all’osservatore l‘intensità di archetipi profondi.
Un busto trafitto da una freccia, teschi, teste e piedi che trovano nuovi significati grazie all’inserimento di oggetti decontestualizzati.
Al centro dell’esposizione la testa di Seneca appesa a un filo, ci guarda sottosopra e allo stupore pare replicare: “Non è mai esistito ingegno senza un poco di pazzia”. Lo sguardo del filosofo riflette quella sana follia che ci consente di guardare ciò che ci circonda da un altro punto di vista. In fondo, è ciò che fa l’arte contemporanea che non avendo più immagini originali, le ripropone interrogandoci sul significato nuovo che possiamo attribuire loro. Alle pareti, tante figure bianche: la testa di pittore con pennello, quella del poeta con imbuto e quella di illuminato con candela. Scuri, come se fossero in bronzo, i piedi con calzini del Profeta e il piccolo Jesus, che riproduce in sedicesimi il grande tronco del Cristo mutilato. Rimandano il pensiero ad ex voto e a quel rapporto speciale che proprio questa città ha con il mondo dei defunti. Non un senso di immutabile distacco ma il passaggio ad un’altra dimensione ove prevale la libertà dell’essenza e l’uguaglianza dell’essere.
Un minimalismo, quello di Nino Longobardi, che pur restando concettuale non fa a meno del realismo, della nobilitazione del vero e dell’idea di “bello”, che pur trascendendo l’opera, in virtù dell’idea che le sta dietro, affascina con la purezza delle forme.