Da una parte doveva iniziare: da Bruxelles, per non fare torto alle altre capitali europee

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in foto un'immagine generica della polizia belga (Imagoeconomica)

La speranza, come si intende normalmente, fu descritta nel mondo classico come la divinità propizia al verificarsi di un evento positivo. Essa fu l’ultima divinità che lasciò questo mondo per salire sull’Olimpo, con grande dispiacere per i greci di allora. Questa volta sembra che la stessa, riferita al contenimento della ostilità verso Israele, abbia deciso di anticipare la partenza. Il segnale si è acceso lunedì a Bruxelles, quando un terrorista di nazionalità tunisina, armato di un mitra, al grido “Allah Akbar” ha freddato due cittadini svedesi e ferito in modo molto grave una terza persona. I primi, tifosi di calcio, erano giunti in quella città per assistere a una partita tra la nazionale del loro paese con quella belga, che dopo l’attentato è stata interrotta. Compiuto la sua inqualificabile escursione, l’attentatore si è presentato al mondo con un video e subito dopo è scappato come era arrivato, con una moto.

Ieri mattina la polizia di quel paese lo ha identificato. Ha tentato di sfuggire all’arresto e poco dopo è rimasto ucciso nella sparatoria che aveva ingaggiato. L’augurio di ogni cittadino del mondo è che possa trattarsi di un caso isolato. Purtroppo ciò è reso poco credibile da quanto ha preceduto quell’attentato. Non c’è stata da molti anni una parentesi di tempo, anche breve, in cui non si sia verificato un episodio di violenza terroristica. Subito rivendicato, tanto per non lasciare ombra di dubbio, da una delle sigle che fanno capo a realtà pseudo politiche, basate in prevalenza nella parte orientale del mondo. Gli autori di tali escursioni sanguinarie, quando non sono all’opera, vengono definiti “cellule dormienti” e vivono comodamente sparsi per il mondo occidentale, finanziati dalle centrali dell’odio religioso cui gli stessi appartengono.

Quindi, che per l’Europa il terrore abbia varcato la soglia di ingresso non è più un timore, ma una più che preoccupante realtà. In ogni programma che i paesi della EU e la stessa Unione si accingeranno a mettere a punto, dovranno tenere in conto, anche se senza la possibilità di quantificarla, la variabile – il termine è quantomai appropriato – azioni terroristiche. Oltre che per quanto riguarda la sicurezza personale, ciò varrà con importanza pressoché simile, anche per quel che concerne l’attività economica in generale. Pur cercando di tener lontana il più possibile Cassandra, non si può fare a meno di dover tenere nella dovuta considerazione la probabilità che vengano ordite azioni di sabotaggio di ogni genere a danno di qualsiasi tipo di impianto, pubblico o privato che esso sia. Se ciò dovesse verificarsi, sarebbe un vero problema per porre rimedio ai danni che ne deriverebbero, soprattutto per paesi con il bilancio  ridotto all’osso già per quanto è indispensabile per il normale esercizio: l’Italia ne fa parte. Anche se la situazione non è ancora del tutto evidente, la guerra, sia passata l’ennesima ripetizione, allo stato è potenzialmente presente già in tutto il mondo, quanto meno nella sua parte occidentale. Ritornando al danno economico in generale che questo stato di cose procura, ce n’è uno che è in testa come primo motore immobile: la paura generica di investire.

Già una parte degli economisti del secolo scorso avevano affermato che chi detiene il capitale, quando sceglie come e dove impiegarlo, antepone alla remuneratività dell’investimento il grado di rischio che lo stesso correrà di essere intaccato o di  andare in fumo del tutto. E tanto non per una scelta di investimento in un settore che si rivela scarsamente  remunerativo ex post per i motivi più disparati. Può accadere per l’instabilità del contesto, sia sociale che politico, del luogo scelto, non valuta preventivamente con correttezza o sopravvenuto in un secondo momento.

Non bastava la quantità di ricchezza andata distrutta a causa della guerra in Ucraina, la cui ricostruzione con il ristabilirsi della pace e l’ingresso di quel paese nella Eu, sarà di competenza di Bruxelles e non consisterà in una passeggiata. Il problema che si porrà in Israele è che rimettere il paese in sesto, se e quando sará possibile, non potrà essere considerata definitiva se lo spettro di Hamas, di Hezbollah e di altre ingerenze (i paesi retrostanti quelle sigle) avranno accettato una proposta di soluzione definitiva del problema delle due nazioni su uno stesso stato. Chi riuscirà in tale intento, metterà non una pietra, ma un intero lastricato sulla strada della pace. La stessa che dovrebbe costituire la premessa per la definizione di un futuro sostanzialmente diverso per l’intera regione mediorientale. Salvo errori e omissioni.