Da incubatori e università i tre driver per far nascere il futuro

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Il loro nome già di per sé lo evoca: gli incubatori non possono che essere il viatico per il futuro perché è attraverso di loro che si strutturano o, perlomeno, dovrebbero strutturarsi gli imprenditori del domani. Ma è davvero sempre così? Non proprio, perché per far evolvere la cultura delle startup è necessario legare sempre di più gli incubatori alle università, il che almeno in Italia è ancora un fenomeno piuttosto raro.  E invece è proprio da questo legame che dipendono tre driver essenziali al successo delle nuove imprese.  

Il primo driver riguarda l’accademia come tale, ovvero l’insieme delle discipline e delle specializzazioni che una comunità come quella universitaria è in grado di offrire. Allo startupper, infatti, conoscere solo il mercato non basta, servono invece anche competenze di marketing, di distribuzione e delle politiche di vendita. E questo solo per cominciare. Insomma, a chi oggi avvia un’impresa con l’ambizione di lasciare il segno servono skills trasversali e, si badi, non certo per amor di curriculum ma molto più semplicemente perché lo richiede il mercato.

Il secondo driver che non dovrebbe mai disgiungersi da un incubatore è quello della ricerca. Oggi qualsiasi prodotto innovativo deve essere precognitivo di un’esigenza, deve cioè anticipare l’andamento del mercato e saper cogliere gli aspetti fondamentali della psicologia d’acquisto del consumatore. In questo senso l’università deve potersi configurare come una comunità di persone in grado di fare da mentori ai neoimprenditori.

Il terzo driver connesso all’essenza stessa di un incubatore dovrebbe essere l’engagment  con il territorio, la capacità cioè di capire se un determinato prodotto è utile, o comunque può esercitare appeal in un determinato popolo, in un contesto che abbia determinate dinamiche e non altre. 

Favorire un’autentica osmosi tra incubatori e università significa porre le premesse per la nascita di una nuova figura di imprenditore, non più un attore che fa della malizia o di una (malintesa) furbizia la ragione del proprio successo, ma una figura di imprenditore consapevole dei propri mezzi e del contesto in cui opera perché, prima ancora della creatività, va incoraggiata la capacità di tradurre quella potenza di fuoco in qualcosa di concreto. L’innovatore 4.0 è un imprenditore formato e globale il cui impegno nello studio serve a guadagnare traguardi solo apparentemente irraggiungibili sul lavoro.