Ricerca, un farmaco per reni aiuta il cuore evitando il peggioramento degli scompensi

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Foto di PublicDomainPictures da Pixabay

Un farmaco per malattia renale cronica potrebbe ridurre del 16% il rischio di mortalità e ricoveri in pazienti con insufficienza cardiaca lieve ma difficile da gestire e trattare. Lo dimostra lo studio clinico Finearts-Hf pubblicato sul New England Journal of Medicine e presentato a Londra, al congresso della Società Europea di Cardiologia, condotto su 6000 pazienti con un tipo di insufficienza cardiaca in cui il cuore si contrae ancora normalmente, ma mostra i primi segni di scompenso cardiaco. Una patologia cronica che può causare un peggioramento della qualità della vita e della capacità di affrontare le attività quotidiane con frequenti ricoveri per mancanza di respiro e accumulo di liquidi nell’organismo. “Negli ultimi 20-25 anni abbiamo fatto passi da gigante nel campo dell’insufficienza cardiaca, ma perlopiù per il tipo chiamato con frazione di eiezione ridotta, cioè quando il cuore non pompa molto bene – spiega Pasquale Perrone Filardi, presidente SIC e direttore della scuola di specializzazione dell’Università Federico II di Napoli – Nella forma in cui, però, il cuore si contrae normalmente, ma i ventricoli si irrigidiscono e non sono in grado di riempirsi in modo corretto (scompenso cardiaco con frazione di eiezione lievemente ridotta o conservata), abbiamo una sola classe di farmaci che sono le gliflozine. Sono dunque limitati i trattamenti disponibili per questo tipo di pazienti in continua crescita per via dell’invecchiamento della popolazione. Oggi, per la prima volta, si aggiunge un nuovo farmaco bloccante non steroideo, in grado di influenzare favorevolmente questa forma di scompenso cardiaco difficile da gestire e trattare”. Lo scompenso cardiaco rappresenta un grave problema di salute pubblica che colpisce 15 milioni di individui in Europa e circa 1 milione in Italia e si stima che quasi la metà abbia una frazione di eiezione leggermente ridotta. Nel nostro Paese, la maggior parte dei malati ha più di 70 anni e lo scompenso cardiaco è la causa principale di ricovero negli over 65, con esito fatale nel 50% dei pazienti entro 5 anni dalla diagnosi, se non adeguatamente trattati. “La terapia dello scompenso – continua Perrone Filardi -. si è rafforzata da poco più di due anni, con una nuova classe di farmaci, le gliflozine, nate come antidiabetici, che hanno mostrato di essere efficaci in tutti i pazienti con insufficienza cardiaca, anche se non diabetici, e indipendentemente dalla gravità della malattia. Ma il nuovo studio suggerisce che il finerenone potrebbe potenzialmente rappresentare un secondo pilastro della terapia nei pazienti con insufficienza cardiaca lieve”, conclude.