Personaggi/ La stylist Rebecca Weinberg, il look del momento da trent’anni

Non solo conosce bene il concetto di stile a New York, lo ha addirittura lanciato nel mondo nel segno di Sex and the City.

Con una prospettiva sempre originale, capace di consolidare tendenze e mode, Rebecca Weinberg è considerata un’icona del mondo dell’immagine. La ragazza di Atlanta, ha alle spalle un incontro fortunato con il fotografo David LaChapelle, una collaborazione importante con la stilista Patricia Field, e un meritatissimo Emmy Award.

Rebecca, che si definisce fashion expert (esperta di moda) ci ha spiegato il significato del suo lavoro, ha raccontato del successo dietro ad un carattere eclettico, dei primi passi nella Grande Mela, e dell’esperienza con le quattro amiche più famose di Manhattan.

Parliamo dello stylist, chi è?
La prima definizione che mi viene in mente è esperto di stile e immagine. Il lavoro, però, ha un significato molto più ampio. Include diversi settori della moda, riguarda l’editoria, i dipartimenti di stile e design di aziende del fashion, concerne anche l’affiancamento al fotografo durante i servizi, include la creazione di set cinematogafici, e non ultimo la cura dell’immagine delle cosiddette celebrities. A tutto ciò, io aggiungo la capacità di saper interpretare l’essenza di una linea di prodotto piuttosto che la natura di una personalità, e comunicarlo attraverso il proprio stile. In altre parole bisogna essere abili a combinare creatività e un notevole spirito di collaborazione. La cosiddetta complicità tra il tuo compito e i “gusti” di chi hai di fronte. È un pò come siglare un patto di lealtà. Trovo che la responsabilità che deriva da questa intesa rappresenti la continuità nel mio lavoro. Dunque talento e creatività non bastano.

Da LaChapelle e Andy Warhol, come è andata?
Verso la metà degli Anni Ottanta, non ancora diciottenne, da Atlanta, dove vivevo, mi trasferii a New York con un sogno da realizzare. Il sogno sapeva di musica Jazz. La mia passione e il desiderio più grande infatti era diventare una musicista e cantante di quel genere. Di lì a poco iniziai ad esibirmi in alcuni locali del West Village, con set e costumi creati da me. Una one-woman cabaret show (spettacolo musicale con una sola persona). Devo ammettere che creare i costumi e i set per i miei show mi ha aiutato molto nella carriera di stylist. Nello stesso periodo conobbi David Lachapelle e di lì a poco mi ritrovai a cercare e selezionare vestiti, materiale di diverso genere e accessori per i suoi set. Parliamo del periodo in cui Andy Warhol, dopo aver visto alcuni suoi quadri in una galleria, lo volle come fotografo di Interview Magazine, da lui diretto al’epoca. Presto LaChapelle iniziò a collaborare con altri grandi giornali di moda e il resto è noto a tutti. In quel periodo ricordo correvo a destra e a manca per scegliere tutto quanto necessario per i suoi allestimenti, messe in scene tanto originali quanto surreali. Nel frattempo ovviamente continuavo ad esibirmi e a creare i miei personaggi.

Dalle serati di animazione in Italia a Roma, Rimini e Riccione come si arriva a Sex and the City?
Credo di averlo deciso per due ragioni. Innanzitutto ero fisicamente stanca. Avevo 26 anni e facevo serate di animazione addirittura in Italia. Al Caffé della Pace a Roma per esempio, e successivamente nei locali di Rimini e Riccione. L’italia all’epoca era un posto straordinario per l’organizzazione degli show di animazione. Lo ricordo come un periodo molto stimolante. La seconda ragione è legata alla collaborazione con la stilista Patricia Field. Prima ancora che diventasse la costume designer ufficiale della serie Sex and the City, Pat era un’icona della moda a New York, una visionaria direi. I legging che oggi ogni donna ha nel proprio armadio, ad esempio, li ha creati lei negli Anni Settanta. Tornando a me, ho capito di dover fare questo mestiere quando, lavorando con Patricia, ho iniziato a guadagnare. Il punto di svolta è stata proprio la serie di Carrie Bradshaw e le sue tre amiche. È vero che tutto il giorno salivo e scendevo scale delle stazioni metro con enormi sacchi di indumenti e scatole di accessori, però a quel punto tra i “saliscendi”, ero l’assistente stylist più pagata. Una buona ragione per mettere da parte locali e boa di struzzo.

Come nascono i guardaroba di una serie televisiva di successo planetario?
Io ho lavorato durante le prime due delle sei stagioni di Sex and the City, dal ’98 al 2002. All’inizio tutto era entusiasmante. Lo show non aveva nessuna notorietà e il nostro asso nella manica era l’estro e il desiderio, quasi avidità, di fare ricerca, di raccontare la storia e creare i personaggi attraverso un gurdaroba, nel miglior modo possibile. Ricordo che io e Patricia giravamo di continuo, dal piccolo negozio di Brooklyn con poche cose di designer emergenti, alla boutique piena di articoli vintage di New Orleans, fino a Londra. Osavamo, sceglievamo per esempio un vecchio cardigan sformato non troppo attraente, e il mix funzionava, aveva un suo appeal. Era un pò come divertirsi con le amiche a scambiarsi i vestiti e darsi consigli. Niente era convenzionale insomma, e questo ci divertiva molto.

Cosa c’era dietro le quinte a fare di questo spettacolo una macchina da soldi unica?
Raggiunto il successo della prima stagione, gli stilisti che all’inizio non ci avevano prestato nè attenzione nè tanto meno le loro creazioni, ad un certo punto ci mandavano pacchi di interi guardaroba direttamente in ufficio. Chanel e Louis Vuitton ci offrivano di tutto, di continuo. Givenchy spediva articoli esclusivi direttamente da Parigi. In altre parole il nostro ruolo di stylist era cambiato, si può dire che creatività e immaginazione erano andate in letargo. Non c’era più bisogno di fare ricerca nè di studiare l’outfit perfetto. Due numeri per capire meglio: all’inizio il budget per due episodi era di 18mila dollari e Sarah Jessica Parker (la protagonista Carrie Bradshaw) aveva a disposizione 30 completi da cambiare. Il tutu bianco che indossa nei credit di apertura, acquistato in un negozio di articoli usati, è costato solo 5 dollari ad esempio. Dopo la prima stagione il valore del guardaroba aveva raggiunto cifre astronomiche e nell’ultimo film Carrie ha cambiato abito ben 120 volte. Sex and the City era diventato una vera e propria macchina da soldi.

Sarah Jessica Parker e le tre amiche di Manhattan più famose al mondo, come erano sul set?
Erano molto diverse in quanto a personalità e ognuna difficile a suo modo. Kristin Davis (la bruna Charlotte) era complicata ad esempio perché molto insicura, un pò forse perché era la più giovane e soprattutto perché non aveva una forma del corpo perfetta. La sua insicurezza rendeva la scelta del look molto difficile. Kim Cattrall (la sexy Samantha) era sicuramente la più testarda e la più esigente. Le portavamo il mondo intero e non riuscivamo ad accontentarla. Mai una volta che andasse bene un fazzoletto. Cynthia Nixon (la rossa Miranda) non aveva la minima idea di cosa significasse la parola guardaroba. Era difficile in un modo diverso, non esprimeva mai un’opinione nè entusiasmo. Devo aggiungere però che lei è cresciuta in questo senso, ha acquisito uno suo stile, bello ed esclusivo. Complimenti al suo stylist. Sarah Jessica Parker invece poteva indossare un pantalone della tuta e farlo sembrare un capo di alta moda.

Si discute se il mercato della moda debba cambiare le vecchie regole: non più collezioni stagionali ma vendite immediate per il presente. Cosa ne pensa?
È una richiesta esplicita del mercato. Chi acquista, e non parlo solo di esperti del settore, ha una capacità di osservazione di pochi secondi. In altre parole non tutti aspirano alla borsa esclusiva e sono disposti ad aspettare sei mesi per potersela accaparrare. Prada ha appena fatto sfliare due modelli di borse acquistabili questa settimana ad esempio. Il mercato richiede il pronto ora, e la parola chiave è subito. Le case di moda dovranno essere in grado di soddisfare le richieste “velocemente”, solo così rimarranno sicure a galla. È una contraddizione se si pensa che ci lamentiamo di un mondo che va troppo di corsa.

In che modo questa formula crede possa influire sul suo lavoro?
Per quanto riguarda gli stylist sono sicura che le cose non cambieranno molto, in un certo senso per noi il concetto di anticipo e anteprima sono normali. Siamo spesso la prima vetrina di un accessorio o di un’intera collezione. Non credo neanche che questo sistema possa influire sulla creatività e il genio degli stilisti comunque e sono certa che l’alta moda e le creazioni cosiddette esclusive continueranno ad essere prodotte e a “prendersi il proprio tempo”.

Quali sono le “piazze” che offrono maggiori spunti per lo shopping?
Adoro Londra. La zona di Camden rimane ancora il posto che ti trascina in una dimensione diversa. Dal rock, al punk ai jeans introvabili. New York mi dà l’impressione che tutto sia uguale, poco originale. Miami invece trovo che abbia più gusto. Mi piace fare shopping anche lì. Poi amo Los Angeles e il Midwest per il vintage. Trovi di tutto. Tokio ad esempio la trovo decisamente di nicchia, e uno dei posti più originali dove “scavare”.

I prossimi progetti?
Al momento sono impegnata a fare ricerche per il set di un film. La protagonista principale, è quasi certo, sarà Uma Thurman. È da molto che non faccio un film e sono molto entusiasta. Un’altra ragione esaltante è che molte scene saranno girate vicino ad Atlanta, dove ultimamente ho acquistato una casa, e quindi sarà bello ritornarci alla sera.

Ha un nuovo sogno nel cassetto?
No, è lo stesso di sempre. Penso di aprire presto un negozio di articoli che riguardano il Jazz. Tanta musica, strumenti e paillettes. Il sogno si avvicina.