Manca un’industria culturale, c’é poca inventiva nell’offerta a fronte degli autentici giacimenti d’arte a disposizione, è pari a zero la capacità
Manca un’industria culturale, c’é poca inventiva nell’offerta a fronte degli autentici giacimenti d’arte a disposizione, è pari a zero la capacità di intercettare fondi europei destinati a rendere più competitivo il settore. Insomma, l’ecosistema culturale campano è “paludoso e infertile”. Dice, e quale novità? Oggi stiamo messi male ma magari da qui a qualche anno, mettiamo il 2020, le cose cambieranno. E invece no, la descrizione dello stato comatoso dell’industria culturale regionale si riferisce proprio al 2020, alla Campania che sarà partendo da quella che è adesso.
Eccettuate pochissime isole felici, cinema sopra tutti, e le imprese che sapranno coniugare arte e tecnologia, non c’è Reggia, Museo di Capodimonte o Pompei che possa invertire la rotta del declino.
Rapporto sul futuro – É quanto emerge dal rapporto “Campania 2020. Cultura e sviluppo” curata dal sociologo Domenico De Masi e dal direttore del Centro di ricerche S3 Studium Stefano Palumbo. Si tratta di un’indagine previsionale basata sulla consultazione di un panel di nove esperti d’eccezione sull’evoluzione dell’offerta culturale in Campania nei prossimi sei anni. A illustrare la “cronaca della morte annunciata” del nostro inestimabile tesoro saranno nel sito reale di San Leucio mercoledì 13 maggio, insieme a De Masi e Palumbo, gli stessi autori dello studio: il direttore della Città della Scienza di Napoli Luigi Amodio, il critico musicale Francesco Canessa, il massmediologo Derrick De Kerkhove, lo storico dell’arte Cesare de Seta, lo scrittore Diego De Silva, il critico letterario Francesco Durante, l’antropologo Marino Niola, il teorico delle culture giovanili Lello Savonardo, l’economista della cultura Michele Trimarchi. A confrontarsi con loro su come evolverà la domanda e l’offerta di cultura in Terra Felix, saranno Carmine Gambardella, Massimo Lo Cicero, Luca De Fusco, Rosanna Purchia. Concluderà i lavori il presidente della regione Campania Stefano Caldoro.Cultura, solo il web potrà salvarci – “Nonostante la debolezza industriale i fermenti culturali resteranno molto intensi. Napoli – si legge nel rapporto – continuerà a offrire una varietà apprezzabile di prodotti culturali, con tradizione ancora vigorose di teatro, musica, canzone e festival”. Ma subito arriva la doccia fredda: “Senza un cambiamento radicale nella gestione da parte della ‘cultura dirigente’ (più o meno ufficiale), tuttavia, l’offerta culturale resterà complessivamente modesta. Realizzeranno proposte e strumenti nuovi, contro un ecosistema infertile e paludoso, solo le organizzazioni predisposte a un approccio tecnologico e cross-mediale”. Ma dopo decenni di convegnistica basata sullo slogan del “fare sistema” quel che sconvolge di più è forse questo passaggio. “La frammentazione, la discontinuità e l’incapacità di fare rete saranno, ancora nel 2020, un problema specifico della Campania”. Uniche note positive quelle legate alle startup. “In Campania, più che altrove, l’impulso creativo darà il via a continui esperimenti di innovazione culturale, anche grazie all’impatto dei nuovi media e delle startup”. Visto il disastro gestionale lasciatoci in eredità chissà che non si riesca a smentire Nelson Rodrigues qundo scrive che “Il sottosviluppo non si improvvisa. È lavoro di secoli”.
Cristian Fuschetto