Crollo a Scampia, si poteva non sapere?

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(foto da Adobe Stock)

Occorre certamente gioire per la cautela con la quale la procura di Napoli sta indagando sulle colpe per il mancato sgombero della Vela Celeste di Scampia nonostante un’ordinanza in tal senso che risale addirittura all’ottobre del 2015, nove anni fa. Gli inquirenti stanno “cercando di risalire alla catena delle responsabilità”, fanno sapere, e si muovono con i piedi di piombo perché sarebbe davvero disdicevole che dopo tre morti e tredici feriti per il crollo di un ballatoio dichiarato pericolante si dovesse giungere a conclusioni affrettate.
D’altra parte, la cultura garantista dell’ufficio dell’accusa più numeroso d’Italia è ben nota. Prima di formulare ipotesi di reato e accollarle ai sospettati si è sempre proceduto ad accurate verifiche di luoghi, fatti, circostanze nel rispetto del principio che è meglio avere un colpevole fuori che un innocente dentro. Questa raffinata cultura giuridica, dunque, sembra ispirare anche il caso in questione e ci si domanda come mai un documento così importante per la vita delle persone sia rimasto per tanto tempo nascosto in un cassetto.
Per saltare fuori solo all’indomani del fattaccio – grazie a uno scoop del Cormez – quando è in pista da due anni la giunta guidata dal sindaco Gaetano Manfredi che proprio in quell’area ha avviato un imponente progetto di riqualificazione trovando perfino i soldi per finanziarlo. Per una volta, insomma, si fa sul serio. Qualche altro mese e l’incidente si sarebbe evitato con la messa in sicurezza e la trasformazione dell’intero edificio, l’unico che si era deciso di mantenere in piedi tra quelli gemelli destinati invece all’abbattimento.
Ma il caso ha deciso diversamente. Il 22 luglio la struttura compromessa dal tempo e dalla corrosione si è staccata dal terzo piano per piombare sugli altri due al di sotto che si sono accartocciati all’impatto. Una famiglia allargata riunita per la cena è rimasta praticamente decimata e ottocento persone, gli altri abitanti dello stabile mostruoso, hanno dovuto trovare sistemazioni di fortuna approfittando anche della disponibilità della vicina e nuovissima sede universitaria della Federico II.
Dunque, occorre “risalire alla catena delle responsabilità” per capire chi si sia potuto macchiare dei possibili delitti di disastro, omicidio, lesioni. Tutti naturalmente avvenuti in forma “colposa”, cioè non intenzionale, anche se la sciatteria amministrativa è di per sé assai grave e riprovevole per le conseguenze – vedi ponte Morandi a Genova e altri episodi simili oltre a quello sotto i nostri occhi – che può causare. Risalendo anello dopo anello – lentamente e faticosamente, s’intende – lungo la famosa “catena delle responsabilità” qualcuno si accorgerà che in cima stava al tempo il primo cittadino Luigi De Magistris, in carica a Palazzo San Giacomo per ben dieci anni dal 2102 al 2022. Facendo un po’ di calcoli, nel 2016 – anno dell’informativa inascoltata – l’esponente massimo della fantasia al potere era insediato da quattro anni e a quella poltrona sarebbe rimasto incollato per altri sei.
Possibile che anche a lui, nel pieno esercizio delle facoltà di sindaco, sia stata nascosta l’ordinanza di sgombero? E chi l’avrebbe sollecitata, quell’ordinanza, lasciando nella bella ignoranza il suo capo in testa? Poteva De Magistris non sapere nonostante il suo fiuto da poliziotto affinato negli anni in cui ha prestato servizio come procuratore? Queste poche e semplici domande prima o poi qualcuno dovrà formularle e qualcun altro dovrà fornire le risposte.
Che dovranno essere convincenti perché non sia mai che a cadere nella rete della giustizia debba essere il titolare della scrivania contenente il cassetto che per tanti anni ha colpevolmente custodito la carta leggendo la quale, e agendo di conseguenza, si sarebbe potuta evitare la strage di cui oggi siamo costretti a parlare. Tutto nel rispetto della cultura garantista che notoriamente caratterizza la procura di Napoli che mai si è avventurata in inchieste e provvedimenti fragili come bolle di sapone.