Occupazione, infrastrutture, premi fiscali alle imprese. L’Italia è in ritardo sulle uniche riforme che potrebbero avere, almeno a medio termine, un impatto concreto sulla ripresa dell’economia, Occupazione, infrastrutture, premi fiscali alle imprese. L’Italia è in ritardo sulle uniche riforme che potrebbero avere, almeno a medio termine, un impatto concreto sulla ripresa dell’economia, specie per il Mezzogiorno. Che cosa impedisce, allora, al Governo di farlo? “La mancanza del confronto con le forze riformiste, quelle che in passato hanno sempre garantito la tenuta sociale ed economica del Paese”. Carlo Costalli, presidente del Movimento Cristiano Lavoratori, appena rientrato dal meeting di Rimini, non è tenero con il suo concittadino Matteo Renzi, assente all’annuale appuntamento di Comunione e Liberazione. “Apprezzo – dice – la spinta propulsiva che ha impresso al processo riformatore, anche se non è accettabile voglia far passare chiunque non ne condivide le proposte come un passatista avversario delle riforme. Troppo spesso ha dimostrato di considerare i corpi intermedi, che sono una delle ricchezze della storia italiana, come un intralcio alla sua inesorabile marcia verso il nuovo”. Al meeting di Comunione e Liberazione, premier a parte, il grande assente è stato il Mezzogiorno. Un silenzio assordante vista la gravità del momento, non trova? Sì, l’ho notato anche io. Il titolo scelto per il meeting era le“Periferie del mondo” e probabilmente si sono concentrati sulle esperienze internazionali. E’ stato grave perché oltre ai problemi storici del Sud del mondo, c’è anche il tema dell’immigrazione, e il Mezzogiorno, chiamato ad accogliere sulle proprie coste migliaia di profughi ogni giorno, soffre più di tutti i costi maggiori di questo fenomeno dal punto di vista sia economico che sociale. Senza voler fare polemica è un’assenza che molti abbiamo notato. In un certo senso anche il Sud potrebbe rientrare tra le periferie del mondo… Lo stavo pensando, ma non l’ho detto. Non voglio essere così cattivo. Da Rimini il ministro Poletti ha invocato unità delle forze in campo – politiche, imprenditoriali e sociali – sulla riforma del lavoro. Che cosa ne pensa del job act? Su questo fronte io sono abbastanza critico. Accolgo positivamente l’appello di Poletti ma sottolineo anche che il capo del governo non può essere un uomo solo al comando e su questo tema, che rappresenta una priorità per la gente e per l’Europa, siamo in forte ritardo. Il problema è che il premier non accetta il confronto neppure con le forze sociali riformiste. Ora, capisco che voglia evitare i no della Cgil, che spesso si sono tradotte in pure opposizioni ideologiche, ma nel Paese ci sono forze riformiste, in primis la Cisl, che vanno coinvolte perché in questi anni hanno garantito la tenuta sociale del Paese. L’antagonismo non fa bene a nessuno, e men che meno all’Italia. E sulla riforma fiscale come stiamo messi? Anche qui siamo in forte ritardo. Io capisco che il premier possa considerare importanti la riforma del Senato e quella della giustizia, ma credo che per la gente e per l’Europa che ci sta controllando siano ben altre le priorità. Non sono riforme facili, d’accordo. E’ un percorso irto di ostacoli, non lo metto in dubbio. Ma mi sembra che questo tentativo di Renzi di voler apparire come decisionista sempre e comunque non favorisca percorsi condivisi. Mezzogiorno: quali sono i temi su cui considera più debole il premier? Il premier si sta impegnando su un percorso di riforme che sicuramente in tempi lunghi potranno portare vantaggi al Paese. Ma nell’immediato, lo ribadisco, servirebbe intervenire sulle questioni di carattere sociale: occupazione e premi fiscali alle imprese, per rimettere in moto infrastrutture che in breve darebbero vantaggi tangibili soprattutto al Mezzogiorno. Quale alternativa politica all’attuale governo vede all’orizzonte? Per ora vedo un deserto, con un centrodestra in frantumi. Ho sempre sostenuto la necessità di lavorare alla democrazia dell’alternanza: nei momenti difficili occorre fare riferimento alle storia. Al Paese serve un grande partito socialdemocratico ma anche una grande forza popolare. Due poli che in alcuni momenti possono collaborare e in altri alternarsi alla guida del Paese. E quale ruolo potrebbero giocare i cattolici in questa forza? I cattolici stanno cercando di riorganizzarsi anche se le Regionali del 2015 sono troppo vicine. Stiamo lavorando per costruire in tempi medi – diciamo un orizzonte di tre anni – per costruire un’alternativa popolare. Quindi niente liste alle Regionali? E’ evidente che è necessaria un’attenzione forte alle comunità locali. Ma saranno elezioni difficili perché, dopo anni di entusiasmi sulle realtà regionali, ora c’è una diffusa disaffezione a quello che appare più un ente che spende e spande anziché investire in sviluppo. Passiamo alla Campania: Garanzia Giovani e le altre misure a sostegno dell’occupazione stanno riscuotendo un certo successo almeno in termini di adesioni. La disoccupazione, però, continua a far registrare numeri record. Che cosa manca, secondo lei? Devo dire che la Campania è sicuramente un passo in avanti rispetto alle altre realtà del Sud. La regione sconta, però, ritardi e gravi difficoltà passate che si aggiungono ai problemi di cui soffre l’intero Paese: pochi investimenti, infrastrutture deboli, deficit di sicurezza. Se una regione non riesce ad attrarre investimenti non bastano gli enti pubblici a far ripartire l’economia: possono alleggerire la burocrazia, diminuire le tasse, tagliare al massimo i costi pubblici, ma se non si creano le condizioni per spingere le imprese ad investire, ogni sforzo sarà inutile. Come giudica gli interventi a sostegno del tessuto produttivo che Caldoro sta mettendo in campo? A giugno sono stato a Bruxelles e l’immagine della Regione Campania rispetto a 4 -5 anni fa su utilizzo di fondi strutturali e progetti è sicuramente cambiata. Certo i risultati non saranno immediati, ma è ammirevole lo sforzo che sta facendo Caldoro.