Conversazione con Fabio De Felice, professore universitario e imprenditore, sul rapporto tra It, Ai e umanesimo

Complimenti Fabio per lo scritto su Agenda Digitale. Un approccio e contenuti che mi hanno molto sorpreso in positivo perché mi ero preparato a leggere un testo della mano e mente di un professore universitario, ingegnere, nonché imprenditore,  in chiave prevalentemente tecnologica, ambito per me familiare ma non di mia elezione come sai.

Invece  ho incontrato un sentiero che provo a coltivare da tempo, e non so se ci riesco, del valore dell’umanesimo rispetto alle materie che ormai dominano lo scenario mondiale dell’economia e del sistema industriale e di tutte le sue componenti.

Il mio primo tentativo, con miei scritti autonomi su un libro del cinquantennale del mio Liceo Classico, di circa 30 anni fa, in cui ammonivo i giovani a coltivare le discipline umanistiche ma a non trascurare le nuove scienze dell’oggi, la tecnologia e la finanza da mettere a fattor comune con la spinta derivante dagli stimoli del cursus honoris liceale.

L’ho fatto con il testo di Galimberti dal titolo Psiche e Techne, un tomo interessante che esamina il problema del rapporto dell’uomo con il mondo della Tecnhe. Bellissimo, una dipintura della umanità nella logica del nuovo, con la caratterizzazione e le ricadute su tutti i microsistemi valoriali individuali e collettivi: naturalmente lo guardi tutto, ne leggi un centinaio di pagine poi lo metti da parte, perché e un tomo di molte pagine, ma interiorizzi il tema.

ll secondo tentativo l’ho fatto di recente lo scorso anno con il libro di Ferraris, professore di filosofia teoretica della Università di Torino di cui certamente conosci la esistenza: anche qui guardi tutto, ne leggi un centinaio di pagine e metti da parte per un possibile futuro approfondimento che non verrà perché anch’esso molto ricco di pagine (a sinistra la copertina del libro).

“Noi continuiamo a pensare la tecnica come uno strumento a nostra disposizione, mentre la tecnica è diventata l’ambiente che ci circonda e ci costituisce secondo quelle regole di razionalità che, misurandosi sui soli criteri della funzionalità e dell’efficienza, non esitano a subordinare le esigenze dell’uomo alle esigenze dell’apparato tecnico. Inconsapevoli, ci muoviamo ancora con i tratti tipici dell’uomo pretecnologico che agiva in vista di scopi iscritti in un orizzonte di senso, con un bagaglio di idee e un corredo di sentimenti in cui si riconosceva. Ma la tecnica non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela verità: la tecnica funziona”.

Ma l’approccio è proprio questo: ormai la tecnologia e tanto più l’AI siamo noi, è il prodotto delle nostre capacità intellettive. Sta a noi “sistema di intelligenze” che esprime altri valori propri della nostra umanità creare i driver giusti per controllarne le devianze e indirizzarne gli usi per gli scopi primari della umanità.

Per continuare il mio approccio, come giustamente tu fai nel testo, richiamo i lavori fatti in Europa che ho sulla mia scrivania, “Libro Bianco sulla intelligenza artificiale “ che andrebbe divulgato per far capire che solo la dimensione Europea ci può salvare dai rischi ricordando che la AI è il tema predominante dell’Europa del 2030.

E poi non volendomi far mancare l’aspetto concreto per capire dove essa va ho scaricato l’OUTLOOK dell’OCSE che ci indica i settori dove si investe.

Avevo anche avviato la lettura del recente libro di Kate Crawford “Né intelligente né artificiale; il lato oscuri dell’IA”, ma il tempo è avaro e non si riesce nonostante la mia bulimia di approfondimenti sugli argomenti che vorrei conoscere con la sola finalità di trasferirli ai giovani che dovrebbe essere un po’ anche quella della nostra associazione.

Non ho comprato il secondo libro di Geert Lovink che tu citi nella bibliografia perché penso sia un po’ la conclusione delle ipotesi non ottimistiche del primo che ho in parte letto “L’abisso dei social media”.

Ma non voglio distrarmi dall’approccio principale e rientro in tema.

L’introduzione del testo è: ma la responsabilità delle azioni dell’AI resta agli esseri umani: se l’uomo oggi è ciò che lascia in rete, lottare contro i totalitarismi digitali e le tecnocrazie naturalizzate diventa necessario.

La risposta alle due ingombranti e prevaricanti leggi del più forte “accedere alla rete significa assoggettarsi a regole altrui che non lasciano spazio alle libertà e l’altra dei dati come bottino di guerra del capitalismo della sorveglianza (titolo del libro da me letto solo nei titoli) sta come bene avete scritto oltre che nel suggerimento spinoziano dell’autoconservazione, che è proprio dell’istinto dell’uomo ma nel più concreto e realistico appello filosofico di Vico che pone innanzi alle discipline scientifiche quello della ragione e della humanitas che sole possono governare l’altro prodotto umano della matematica, fisica, che hanno anch’esse grande dignità ma che devono sentire il momento di derivazione della fonte primaria della intelligenza creativa.

Vico nel suo tempo dovette combattere contro i temi delle filosofie scientifiche affermatesi nella scena europea con Descartes, Nicolas de Malebranche, Spinoza, Galilei per affermare allora con poco successo il primato dell’uomo sul prodotto dell’uomo.

Sarà Croce nel suo testo del 1923 a far diventare attuale quella dialettica tra humanitas e tecnhe ed a porre Vico nell’Empireo della filosofia.

Quindi non primato delle scienze, che sono figlie, ma della mente che, come bene voi dite nel pezzo riferendovi alla AI, è incosciente, è portatrice dell’etica che vogliamo abbia e che è e sarà frutto del grande impegno cui l’Europa attende, che la Commissione ha provato a stendere nel regolamento.

Non è come voi ribadite antropomorfa, cioè a somiglianza umana, va valutata ed utilizzata per tutti i concreti risultati che può dare alla umanità.

Io confido nell’opera dell’UE e mi dico sempre due cose: come potremmo fare noi da soli in una competizione così enorme come paese che ha dismesso la vocazione dell’IT come tante altre? Come possiamo fare a far arrivare nella società argomenti così importanti che pur con l’impegno di protagonisti come voi che si sforzano di divulgare sono ancora per addetti ai lavori? E come possiamo tradurre queste passioni civili in aiuto per la società che è tabula rasa?

Penso che tu Fabio fai quello che tutti ambirebbero a fare sia pure in diversi settori: continuare a studiare, leggere, approfondire, tradurre con l’attività aziendale parte delle cose che conosci che diventano cosi concrete e non astruse, ma ultima e la più bella opportunità quella di trasferire a giovani attraverso l’insegnamento il patrimonio che ti appartiene.

In me invece sopraggiunge sempre l’amarezza del terzo polo mancante che è quello di non poter dare e trasferire ora il risultato del mio impegno che mi appaga quando tante cose diventano mie ma solo mie, e che mi ha esaltato negli anni del mio impegno più importante di CEO IT e TLC della mia azienda Banco di Napoli perché tutto quello che leggevo e che serviva diveniva realtà operativa. Ed i mie interlocutori erano tutti gli uomini della supply chain tra CED e Datitalia, quasi 500 unità specialistiche.

A questo punto è naturale aggiungere che guidare una macchina di specialisti con competenze solo manageriali è stato solo funzione di quell’umanesimo che ha vinto su tutto, sulle difficoltà governando la complessità. Un bancario avvocato non poteva neppure lontamente pensare in chiave tecnologica.