Ma non vi pare brutto,
Col cielo così chiaro e azzurro,
Quando si vorrebbe tanto giocare,
Dovere andare a letto di giorno?
Robert Louis Stevenson
di Ugo Righi
Tutte le volte che cerchiamo di approfondire il tema della comunicazione e indaghiamo, anche, su aspetti specifici, come il silenzio l’ascolto, la vicinanza e così via, ci interroghiamo, in definitiva, sulla reciprocità, ovvero sul coinvolgimento dinamico dei protagonisti dello scambio comunicativo per creare qualche forma di valore.
La reciprocità è la condizione per vivere meglio con gli altri, perché non possiamo immaginare la vita senza gli altri. E non possiamo immaginare la vita senza gli altri.
Ovunque è una “lotta” per conseguire la reciprocità , e realizzare forme di appartenenza vitale che non siano semplicemente far parte di un sistema sociale ,ma aver parte nei progetti della vita, che ci vedono presenti con il nostro comportamento .
Abbiamo tutti bisogno di essere considerati, di essere visti e riconosciuti, abbiamo bisogno di gesti di reciprocità e di essere trattati con educazione.
Abbiamo noi, nei confronti degli altri, un comportamento come quello che desidereremmo che loro avessero verso di noi? Quello che non desideriamo che sia fatto verso di noi evitiamo di farlo verso gli altri?
L’educazione alla reciprocità è educazione alla convivenza. Questo significa agire in termini consistenti nei rapporti, per cercare di dare valore al fine di riceverne, ma significa anche curare piccoli gesti di attenzione, che vanno in pratiche minime come rispondere ai messaggi, ricambiare o salutare, non alzare la voce, rispettare gli impegni e così via.
La reciprocità contiene una sostanza, ma anche una tecnologia, una forma che si manifesta con scambi tangibili e emotivi.
Significa, detto in modo semplice, trattare bene le persone utilizzando “pratiche” di convivenza come condizione per realizzare varie convenienze.
Partire dalle convenienze, approccio strumentale, per determinare le convivenze non è la stessa cosa.
Viviamo, di fatto, in reti di convivenze, ora costrette, ora scelte. Agendo e comunicando, operiamo cambiamenti che possono essere di valore, anche se avvengono in relazioni che sono determinate dal destino o dal caso e non sono state scelte. Per forza nel momento in cui noi entriamo in relazione con gli altri avviene qualcosa che modifica, che cambia la relazione e gli effetti della stessa.
Si possono realizzare convivenze convenienti oppure si possono chiudere opportunità, possono formarsi problemi e si può andare verso il malessere. Si si può allontanare e chiudere.
Certo è più facile, ripeto, realizzare convivenze con chi ci piace ed è scelto da noi , per simpatia per coincidenze valoriali e culturali, ma la sfida è riuscire anche con chi, per motivi diversi, non è scelto ( nel lavoro, nello sport, nei viaggi, nel condominio, ecc.).
La patologia delle convivenze uccide la possibilità di convenienze reciproche di valore, quindi meglio tentare di star meglio, anche, con chi non ci piace, trovando significati comuni oltre le differenze.
Certo è difficile ovviamente, ma quale altra strada percorrere per opporsi alla disintegrazione, che, in particolare, questo momento drammatico ci fa vivere, se non tentando azioni di rigenerazione? Qualcosa che non rigenera è destinata a degenerare.