Conti pubblici, Unimpresa: Entro la fine della legislatura 341 miliardi di debito da rinnovare

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in foto il segretario generale di Unimpresa, Raffaele Lauro (Imagoeconomica)

“Vale quasi 350 miliardi di euro il debito pubblico da rinnovare entro la fine della legislatura in corso. Da oggi fino ad aprile 2023 scadono, infatti, 202,6 miliardi di btp, arrivano a fine corsa 103,6 miliardi di bot, 23,1 miliardi di cct e 12,4 miliardi di ctz: nell’arco dei prossimi 9 mesi, quindi, scadono titoli pubblici per 341,8 miliardi. In totale, i titoli di Stato in circolazione valgono 2.256,3 miliardi, dei quali 1.975,6 miliardi sono btp, 110,1 miliardi bot, 147,2 miliardi cct e 12,4 miliardi ctz”. Questi i dati principali di un’analisi del Centro studi di Unimpresa secondo cui nel 2022 il debito ancora da rinnovare è di 200,1 miliardi, nel 2023 di 300,9 miliardi, nel 2024 di 249,4 miliardi e nel 2025 di 208,6 miliardi. «La crisi del governo sta facendo impennare lo spread e il costo del debito salirà in maniera importante. Avremo più difficoltà con le prossime scadenze, pregiudichiamo una parte delle risorse che servirebbero per sostenere le famiglie e le imprese. Speriamo in una rapida verifica dei numeri in Parlamento della maggioranza e se si deve andare al voto, lo si faccia il più presto possibile. Meglio le elezioni di soluzioni pasticciate», commenta il segretario generale di Unimpresa, Raffaele Lauro.
Secondo l’analisi di Unimpresa, basata su dati del ministero dell’Economia, l’ammontare complessivo dei titoli di Stato in circolazione è pari a 2.256,3 miliardi: si tratta di 110,1 miliardi di bot, 147,2 miliardi di cct, 12,4 miliardi di ctz e 1.975,6 miliardi di btp. Nel dettaglio, nel corso del 2022, il debito pubblico ancora da rinnovare è pari a 200,1 miliardi: 69,4 miliardi di bot, 12,5 miliardi di cct, 12,4 miliardi di ctz e 105,7 miliardi di btp. L’anno prossimo scadranno 300,9 miliardi di obbligazioni pubbliche: 40,7 miliardi di bot, 23,2 miliardi di cct e 236,9 miliardi di btp. Nel 2024, poi, scadrà debito pubblico per 249,4 miliardi: 208,3 miliardi di btp e 30,2 miliardi di cct. L’anno ancora successivo – nel 2025 – impegnerà il Tesoro per rinegoziare 208,6 miliardi di titoli: 43,2 miliardi di cct e 165,3 miliardi di btp. Altri 195,4 miliardi di titoli pubblici arriveranno a fine corsa nel 2026: 12,8 miliardi di cct e 182,5 miliardi di btp, mentre nel 2027 i btp da rinnovare saranno pari a 132,5 miliardi e corrispondono, per ora, al totale del debito in scadenza; stessa situazione nel 2028, con debito da rinnovare tutto in btp per 128,3 miliardi, mentre nel 2029 a 76,8 miliardi di btp si aggiungono 17,1 miliardi di cct per complessivi 94,1 miliardi. Il 2030 é un’annata con btp in scadenza per 121,2 miliardi e 7,9 miliardi di cct per complessivi 129,2 miliardi. Nel periodo 2031-2072, in totale, andranno rinnovati titoli (solo btp) per 617,6 miliardi.
A giudizio del Centro studi di Unimpresa, a partire dall’anno in corso, l’acuirsi delle tensioni sullo spread, cagionata dall’inflazione e dalla ripresa che sembra affievolirsi, potrebbe avere ripercussioni sulla gestione del debito pubblico. Gli appuntamenti col mercato, nel programmato calendario di emissioni stabilito dal Tesoro, non sono stati caratterizzati, finora, da situazioni critiche. Un quadro positivo favorito in particolare dalle misure di politica monetaria adottate e assicurate dalla Banca centrale europea che stanno tuttavia per ridimensionarsi. Tale “ombrello”, comunque, potrebbe non essere sufficiente nel medio periodo, ad assicurare i sottoscrittori di titoli di Stato, in particolar modo i fondi e gli investitori istituzionali che poi determinano gli esiti delle aste e i relativi tassi di interesse, in relazione ai quali non sono da escludere possibili rialzi nei prossimi mesi. «Con più soldi da riconoscere ai detentori di titoli di Stato si riduce la coperta del bilancio pubblico: in un quadro di forte instabilità politica, si avrebbero meno fondi a disposizione per sostenere la ripresa economica, in una fase cruciale post pandemia e post guerra» aggiunge Lauro, spiegando che «anche le frizioni nella maggioranza di governo e la crisi in corso contribuiscono ad agitare i mercati finanziari».