Il Consolato di Napoli lancia una campagna sulle affinità tra dialetto locale e tedesco

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In foto Giovanni Caffarelli, console della Germania a Napoli

Il Consolato tedesco a Napoli lancia, dalla propria pagina social, una interessante suggestione. Il napoletano “Azzó” e il tedesco “Ach so” si somigliano sia come suono che come significato.“Impossibile non notare la grande somiglianza tra queste due espressioni – scrive il consolato tedesco – Pare proprio che la parola napoletana “ Azzó ” derivi  dal     tedesco “Ach so

” e che tale influenza linguistica risalga ai tempi della Seconda Guerra Mondiale”. A sostenere questa tesi – spiega ancora la pagina del consolato – e’  Giuseppe Comizio “che sulla sua pagina ‘Briganti’ sviluppò questa teoria”. Esistono purtuttavia alcuni brillanti e “dotti” articoli sull’origine di alcuni termini del napoletano parlato ed è individuabile il paragone “curioso” con l’elenco di parole di origine tedesca. Ad approfondimento delle presenze nel parlar nostro di termini delle più lontane provenienze, se ne propongono in pratica i pochi di accertata matrice tedesca.
Anche questi esempi forniscono la cifra della recettiva attitudine del nostro dialetto a far proprie tante voci di remoti linguaggi che, inserendosi in esso, ne confermano la sua ampia disponibilità. Disponibilità non solo semantica, ma pregnantemente propria del nostro humus mai discriminante: lo stesso che volle riservare ai raminghi e ghettizzati Ebrei la domiciliazione in due allora nobilissime e centralissime vie, che ancora oggi ne rimembrano toponomasticamente la presenza, e cioè la Giudecca vecchia (nei pressi di Forcella) e la Giudecca nuova (verso Portanuova).
“LOFFA”: superfluo precisare che si tratta del poco olezzante peto non rumoroso, gratificato da una specifica citazione di Nicola Vottiero, autore dell’unico “Galateo” dialettale (“Lo specchio de la cevertà”, 1789), che raccomandava: “manco chiegà troppo li rine, ca te po’ scappa qua’ loffa…”. Anche se ne viene correntemente indicata una valenza onomatopeica, non è da escluderne la derivazione dal germanico luft (aria), indirettamente confermata dalla circostanza che la parola è riferita alla donna boriosa, supponente e sgradevole (bollata anche quale pereto) e che non sa fare a meno di darsi tante “arie”.
“NIX”: equivale a niente, nulla, a una totale negazione: ci perviene dal nichts dello stesso significato, ed è riportato nella napoletanizzazione delle Odi di Grazio (Ll’Ode de Q. ÀrazioFracco, 1870, per l’esattezza alla diciassettesima del libro III: “Ma quannovene? Nix!”).
“SCIAMMERIA”: era una giacca lunga con code e alamari, che il Duca Armando Schomberg – generale francese, ma di nascita e origini tedesche, 1615-1690 – volle adottare quale raffinata ed elegante uniforme per gli ufficiali, trasmettendole il suo nome. Apud Neapolim la voce si corruppe in giamberga, contrassegnando il soprabito di gala dei funzionari Borbonici. Ben altro il senso del termine, che nel gergo malavitoso connotava il giovane guappo vistosamente abbigliato: guappo spregevole, in quanto dedito alla poco onorevole attività di magnaccia. Donde la ancora attuale valenza del termine, divenuto sinonimo di coito.
“SCIARRA”: lite, bisticcio, contesa di scarso rilievo e breve durata, frequente fra giovani innamorati: presente fin dal 1340 nelle “Cronache” di Giovanni Villani, deriva dall’antico germanico zar, alterco, rissa.
“SPRUOCCOLO”: legnetto aguzzo, stecco secco e nodoso, rametto, arboscello. È ricorrente in svariati aforismi popolari, quali “Addò arrivammo mettimmo ‘o spruòccolo”, “fila cu’ ‘o spruòccolo”, “Mettere ~o spruòccolo a cora”, ‘Ti truvannoquaccosa cu’ ‘o spruòccolo”, ecc. Onorato dai classici riferimenti del Cortese, che ne La Rosa (1621) parla di “nu spruòccoloappuntuto” e del Basile, che ne Lo cunto de li cunti (o Pentamerone, 1627) descrive nel 4° trattenemiento della prima giornata – Vardiello – delle “fossetelle coperte de spruoccole”, il lemma si collega al longobardo sproh (germanico sprock), germoglio, ramo.
“TACCARIÀ”: sforbiciare, scheggiare, tagliuzzare in modo diseguale “valendosi di forbici male affilate” (così il Greco nel suo Vocabolario domestico, 1856) e, per estensione, sparlare, fare maldicenza. Il prolifico commediografo settecentesco Cerlonetrasse spunto da tale verbo per dar vita al pettegolo personaggio dell’Abate Taccarella, verbo derivato dal vetero-germanico taikka, scheggia, segno.
“UFFO”: estremità superiore del femore, osso lombare. In uno dei suoi sonetti (1786) Nicola Capassi parla di un “dolore int’all’uffo”. Ci perviene da huf, del medesimo significato.
“VRENZULA”: straccio, brandello, “parte logora della veste”, puntualizza il Puoti nel suo Vocabolario domestico del 1841. Molto diffusi i relativi modi di dire, quali “fa’ na cosa vrenzule-vrenzule” e “nun pule dicere na vrenzula ‘e parola”, mentre nel I trattenemiento della prima giornata del cit. Pentamerone il Basile accenna a ”vrenzole, petacce e peroglie”. Ne è etimo brand, letteralmente brandello.
“ZEPPA”: legnetto per turare o rincalzare qualcosa, cuneo, bietta: dal longobardo zippel.
“SPASSO”, divertimento: dal tedesco Spaß. Identico significato.
“SPARAGNARE”, risparmiare dal tedesco Sparen. Identico significato.