Conflitto intelligente o stupido?

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È una giornata umida e piena di nebbia in piazzale Lagosta a Milano alle 7,30 del mattino.

Salgo sul primo taxi della fila al parcheggio, saluto e comunico l’indirizzo, dove mi devo recare.

Non so se è capitato anche a voi ma entrando in certi luoghi, incontrando certe persone, oppure in certi momenti, si sente che “c’è qualcosa che non va.”

È quello che sta succedendo ora in questa vecchia automobile, dove c’è freddo termico, un forte odore di chiuso e l’autista, freddo umanamente, con un cappello sulla testa.

Non risponde al saluto e, anzi, con aria seccata bofonchia tra se e se qualcosa, manifestando la sua irritazione per essere costretto ad andare in quel posto lì, perché ora c’è traffico.

Devo subito prendere una decisione: se comincio a parlare con lui, sarò duro, oppure dovrei fare una risata (ma ora non mi viene) quindi gli dico che non voglio rovinarmi la giornata e di accostare che ho finito la corsa. Pago il tragitto di un chilometro ed esco fermando un altro taxi. Andare d’accordo è complicato, molto complicato.

Lo sperimentiamo continuamente in tutte le situazioni della vita.

Basta poco per essere in disaccordo: su una scelta, un’opinione politica, sportiva, o qualsiasi altra situazione di contatto con altri.

Siamo diversi e quindi questa diversità si esprime anche nei comportamenti abituali che agiscono nella diversità del mondo e delle sue espressioni.

L’estrema varietà nella quale viviamo presenta differenze di ogni tipo, che sono fisiologiche, normali, possiamo dire neutre, prima che s’incontrino tra loro e mettano in atto dinamiche “conflittuali”.

Il punto chiave non è quindi tanto il conflitto, perché la differenza è “per forza” conflittuale, ma come si gestisce, che può essere vitale o distruttivo.

Proviamo a definire meglio il conflitto per rifletterci con più cura e capire perché il modo di gestirlo rappresenta una competenza sociale molto importante e, al contrario, la sua mancanza sia drammatica per la vita insieme.

Il conflittoè una situazione di contrasto, esplicito o implicito,tra individui o gruppi d’individui che interagiscono con prospettive diverse in uno spazio fisico o psicologico comune e limitato.

Quindi da questa definizione ne deriva che, in generale, essere in conflitto significa confrontarsi.
E’ impossibile immaginare l’assenza di conflitto perché questo vorrebbe dire assenza di diversità e d’incontro.

Approfondiamo la riflessione: il conflitto interpersonale può avere diverse origini e nella sua forma più basilare è il risultato della differenza d’ideologie e di filosofie, di valori fra individui e fra gruppi.

Può anche essere il risultato di personalità differenti o di differenti atteggiamenti nel percepire e quindi rappresentare e trattare la realtà.

La diversa sensibilità, esperienze, valori, insomma le diverse chiavi di lettura possedute per interpretare le situazioni, fanno  vedere le situazioni differentemente e le reazioni che ne derivano ne sono condizionate.

Lo stesso fatto (pensate a un rigore dato o negato a seconda si tratti della propria o altrui squadra) può creare delle immagini differenti nella mente di ciascuno e quando si è chiamati a conciliare queste immagini, s’incontrano delle difficoltà.

Un dirigente di un’impresa, ad esempio, può pretendere uno stretto controllo sui lavoratori e avere un orientamento molto scrupoloso sul rispetto delle regole, mentre un altro può essere portato verso l’aumento della delega e l’accettazione di maggiori rischi.

Nella vita di tutti i giorni, la gran maggioranza di questi conflitti trae la propria origine da diversi di questi motivi che spesso sono difficili da identificare e quindi da risolvere.

Sicuramente ci sono nella vita situazioni conflittuali probabilmente irrisolvibili e patologiche, ma nella prevalenza dei casi non è così e il conflitto che accade è spesso la risultante di un’escalation che è partita da un fatto banale o da un’incomprensione un malinteso.

Spesso il vero nemico non è il conflitto in se, ma l’incapacità di comunicarsi l’accordo, è l’incompetenza comunicativa, piuttosto che il contrasto oggettivo, il vero elemento dannoso.

Ripeto, il conflitto è in sé una situazione neutra ossia una situazione che può essere interpretata e vissuta in modo positivo o negativo in base a:

      Le caratteristiche personali dei soggetti

      La situazione o la situazione specifica

      Gli obiettivi in gioco

      Le relazioni esistenti tra le persone

      Le conseguenze previste o prevedibili

Nelle organizzazioni o nei sistemi in generale questo è un punto cruciale.

Una recente ricerca statunitense ha indicato che “In media nelle organizzazioni si spende il 20% 25 % del proprio tempo nella gestione dei conflitti per realizzare l’integrazione”.

L’integrazione non vuol dire diventare uguali o pensarla nello stesso modo, ma vuol dire ottimizzare le differenze rendendole vitali.

Il punto assurdo è che noi adulti, in prevalenza, siamo litigiosissimi, come se questo fosse segno d’intelligenza e di forza.

Vediamo tutti urlare per strada, scopriamo continuamente manifestazioni d’intolleranza, ci sono ovunque persone stizzose per nulla, arrabbiate appena alzate, e così via.

Pensate a un dibattito televisivo tra “forze”politiche opposte, pensateci per avere un quadro di come davvero sia impossibile a volte comunicare.

Dovremmo imparare dai bambini, o recuperare quello che sapevamo, perché, anche se a volte sembra impossibile, noi tutti siamo stati bambini.

I bambini vivono il conflitto come un gioco: inizia ma poi loro trovano, se lasciati soli e senza che l’adulto ci metta il becco, sempre una soluzione (ovviamente non mi riferisco alle situazioni di bullismo, ma in questo caso non sono più bambini).

Poi normalmente finisce e il conflitto è un episodio in un processo di gioco piacevole.

Termino ricordando che ci vuole, come sempre, intenzionalità per cambiare i propri comportamenti e quindi se qualcuno vuole provare indico di seguito sei passi di metodo e di competenza, che possono aiutare.