Confindustria, tagliate le stime del Pil: +1,9%. Inizio anno in recessione

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In foto Carlo Bonomi, presidente di Confindustria (ph Imagoeconomica)

Drastico ridimensionamento del Pil per il 2022: a prevedere una flessione di almeno 2,2 punti percentuali della crescita economica è il Rapporto di primavera del Centro studi di Confindustria che fissa il punto di arrivo a fine dicembre a +1,9% con una ‘ampia revisione’ dunque di quanto previsto solo lo scorso ottobre quando a detta di tutti gli osservatori la crescita interna si sarebbe attestata al + 4%. E’ questo uno dei segni più evidenti dell’impatto creato dal conflitto tra Russia e Ucraina che porta con sé un’altro effetto pesante per l’industria italiana: una bolletta energetica che ha messo le ali con un possibile maggior costo di 68 mld su base annua, di cui 27 mld solo per l’industria manufatturiera rispetto ai 51 mld stimati solo poco mesi fa. Numeri che potrebbero anche peggiorare, avverte Confindustria, se il conflitto andasse avanti oltre luglio prossimo, se si materializzassero ipotesi di razionamento energetico e il Covid cominciasse a riaffacciarsi massicciamente nel Paese. Così non è, al momento, ma, commenta il presidente di Viale dell’Astronomia, Carlo Bonomi “siamo davanti a numeri che spaventano, e in maniera molto forte, perchè danno concretezza ad un allarme che cresce e che Confindustria, inascoltata, aveva già lanciato”. Nei primi sei mesi, tra l’altro, il Paese vivrà già una prima ‘recessione tecnica’ considerato che i primi due trimestri 2022 si apprestano a chiudere rispettivamente con un -0,2% e un -0,5%. E alla politica che potrebbe cedere alla tentazione di mettere la testa sotto la sabbia e di “credere che magari tra qualche settimana il conflitto in Ucraina finisca e tutto torni come nel 2019 pre-Covid”, Bonomi dice “è venuto il momento di abbandonare queste azzardate illusioni e di adottare misure strutturali e adeguate, la prima verso l’industria e la manifattura italiana”.

D’altra parte, il conto per le imprese è pesante e lo stesso Pnrr non dà più quelle garanzie di crescita per le quali era stato salutato da entusiasmi travolgenti: “i dati dimostrano che il Pnrr da solo, concepito in altri tempi, non è in grado di generare effetti di crescita tali da contrastare adeguatamente l’enorme colpo apportato dagli avvenimenti in corso”, denuncia ancora Bonomi che torna così a chiedere una sua revisione. “Da quando è stato concepito ad oggi i prezzi si sono rialzati di 15 volte, una cosa inimmaginabile”, dice ribadendo la necessità “di varare le riforme richieste dal Piano di resistenza e resilienza” ma ricalibrandone gli investimenti. “Abbiamo bisogno di un periodo di riformismo competitivo, cioè di fare quelle riforme che da trent’anni il paese aspetta, che lo rendano competitivo, e che non si sono mai fatte. Su quelle ovviamente bisogna andare avanti mentre sul resto io faccio fatica a capire se, permettetemi la battuta, oggi sono più importanti 52 km di piste ciclabili o forse realizzare quegli impianti di rigassificazione di cui abbiamo bisogno e che possono portare sollievo alle bollette energetiche di imprese e famiglie. Perché sennò il rischio è che faremo le 52 piste ciclabili e ci andremo tutti perché non avremo altro”, ironizza. Sul fronte energetico infatti Confindustria non demorde; il prezzo del gas è troppo alto se, come prevedono gli economisti di viale dell’Astronomia, l’impatto del caro bolletta e quello della guerra potrebbe portare “nei prossimi 3 mesi il 50% di aziende a rallentare o sospendere le produzioni”. Il nostro Paese, d’altra parte, insiste Bonomi, ha commesso “errori molto più gravi di altri nel suo mix energetico”, dice sollecitando “una risposta rapida e strutturale: un tetto al prezzo del gas”. Non “un calmiere” stabilito discrezionalmente dalla politica perché “non siamo dirigisti” ma una misura basata sulla “precisa ricognizione dei prezzi applicati ai contratti vigenti per gli importatori”. E invece il governo ha optato per un taglio temporaneo delle accise. Una misura che non piace a Bonomi: “fa solo pensare che il Mef non intenda rinunciare strutturalmente a nulla di un prelievo così inaccettabilmente elevato”, commenta tornando a sollecitare sempre sotto li profilo dei costi “un’operazione trasparenza”.

I numeri elaborati da Csc d’altra parte disegnano una incidenza dei costi dell’energia sul totale dei costi di produzione in aumento del 77% per il totale dell’economia italiana, passando dal 4,6% nel periodo pre-pandemico (media 2018-19) all’8,2% nel 2022. Un impatto che in euro si tradurrebbe in una crescita della bolletta energetica italiana di 5,7 miliardi su base mensile, ovvero in un maggior onere appunto di 68 miliardi su base annua. A farne duramente le spese soprattutto il settore della metallurgia, dove l’incidenza potrebbe sfiorare il 23% alla fine del 2022, seguito dalle produzioni legate ai minerali non metalliferi (prodotti refrattari, cemento, calcestruzzo, gesso, vetro, ceramiche), dove l’incidenza dei costi energetici potrebbe arrivare al 16%, dalle lavorazioni del legno (10%), dalla gomma-plastica (9%) e dalla produzione di carta (8%). E da una indagine effettuata da Confindustria la strada quasi obbligata che si presenterebbe alle imprese per uscire da questa situazione di empasse sembrerebbe quella di un ritocco all’insù dei prezzi finali alla vendita. Lo dice quasi il 90% delle 1980 aziende intervistate. Tra le altre possibili azioni alternative a compensazione , la ricerca di nuovi mercati di approvvigionamento (53%) e di nuovi mercati alternativi di destinazione (26%), finanziamenti agevolati (26%), e la rimodulazione dei turni di lavoro (22%).