Confimi Industria Campania, Carfora: Sempre più saracinesche abbassate e cassa integrazione. Aziende micro in crisi

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Si registra in Campania un boom della cassa integrazione, con quella straordinaria arrivata a +131,7% e la Cig ordinaria balzata in cinque mesi a +72,2%. Nel primo trimestre del 2024, purtroppo, si sono contate 3.283 chiusure di imprese, di cui 1.225 attività commerciali. Come è possibile, con questi dati e con il boom della desertificazione industriale e commerciale, affermare che il Sud stia volando? Questo è l’interrogativo che si pone Luigi Carfora, presidente di Confimi Industria Campania e del Consorzio Suggestioni Campane Promotion, confrontando i dati economici presentati dall’Unioncamere della Campania nel primo trimestre del 2024 con le dichiarazioni provenienti da più parti su un Pil in crescita oltre la media nazionale, un export balzato a +14,2% e un turismo in Campania che nel 2024 sta registrando un vero e proprio boom, con previsioni di un aumento del 15% delle presenze rispetto al 2023. Le mete più gettonate includono Napoli, con il suo centro storico, il Vesuvio e le isole del Golfo. La regione continua ad attrarre visitatori grazie al suo ricco patrimonio storico-archeologico e alle sue delizie enogastronomiche. Le città di Napoli, Salerno e le località costiere come Amalfi e Positano sono tra le principali attrazioni.

Ciononostante, il valore di produzione delle imprese campane si è attestato a circa 144 miliardi di euro, di cui il 41,5% è generato dal commercio, principalmente dai sistemi distributivi e dalle piattaforme logistiche e di spedizione per il Centro Sud Italia della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) e della Distribuzione Organizzata (DO).

“È strano che, ad occhio nudo e senza il supporto dei dati statistici – dice Luigi Carfora – troviamo sempre più saracinesche abbassate ovunque, sempre più capannoni industriali abbandonati, sempre più disoccupati, sempre più cassa integrazione, sempre più giovani che emigrano per lavorare e sempre più tensione sociale e delinquenza, fuori controllo e in forte crescita: un vero disastro economico e sociale. Infatti, le imprese campane di dimensioni ‘micro’, che ammontano al 79,3% del totale, creano un valore di produzione inferiore rispetto alle ‘grandi’ imprese, che rappresentano solo lo 0,5% del totale. Questo 0,5% di grandi imprese, che produce maggior valore di produzione e sostiene il Pil regionale in crescita, è principalmente costituito dall’industria farmaceutica, dall’aerospazio, da quella bellica e da poche altre fortunate.

Come si può parlare di segnali positivi per l’economia in Campania se queste imprese e questi dati con segno + non sono capaci di trascinare il resto del sistema economico né di creare occupazione?”

Inoltre, continua Carfora, le grandi imprese beneficiano di un potere contrattuale che consente loro di ottenere prezzi di fornitura migliori e, per assurdo, anche condizioni fiscali più favorevoli, creando di fatto una concorrenza sleale nei confronti delle altre aziende che producono in Italia. È necessario frenare questa concorrenza sleale e il dumping dei prezzi proveniente da più parti, sia dall’Italia che dall’estero con le importazioni, che erodono i margini di profitto delle PMI nostrane, spingendole verso l’emigrazione produttiva.

La semplificazione burocratica e il supporto attivo sono fondamentali per lo sviluppo delle attività produttive. Le industrie campane affrontano costi energetici, costi lordi del lavoro, costi assicurativi elevati e disagi infrastrutturali, che penalizzano la competitività sui mercati nazionali ed internazionali.

“La desertificazione commerciale ed industriale – sottolinea Carfora – colpisce i privati e danneggia anche il gettito fiscale, l’Irpef, la Tari, l’Irap e altri tributi, dall’occupazione suolo pubblico alla pubblicità, con ripercussioni sui conti pubblici. Tra le cause principali della crisi che sta affliggendo l’industria manifatturiera in Campania ci sono anche la speculazione edilizia e quella sui terreni ad uso industriale: basti pensare che i costi dei terreni industriali possono raggiungere fino a 1.000/1.200 euro al mq, e che i fitti per un’attività industriale di piccole dimensioni possono arrivare fino a 30.000 euro al mese, costi proibitivi che contribuiscono alla fuga delle imprese verso l’estero. Se non si interviene, si rischia un ulteriore aggravamento dell’emigrazione di cittadini e di imprese, accrescendo ulteriormente lo spopolamento regionale.

Confimi Industria Campania chiede misure concrete per affrontare queste sfide, tra cui il blocco della speculazione edilizia, la semplificazione burocratica, il supporto finanziario e sgravi fiscali. È richiesto un impegno concreto dalle istituzioni nazionali e regionali per il bene delle imprese e della società”.

Continua Carfora: “Chiedo al Presidente Meloni e al Ministro Urso norme affinché si contrasti la pratica della concorrenza sleale applicando una politica a specchio per tutti i prodotti importati dall’estero e che ci sia, anche per chi opera in Italia, una condizione di uguaglianza e parità fiscale per tutte le imprese, eliminando le discriminazioni che attualmente danneggiano le PMI. E al Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, e all’Assessore alle Attività Produttive, Antonio Marchiello, un impegno nella gestione della politica dei prezzi dei terreni nei consorzi ASI (Aree di Sviluppo Industriale), con una determinazione del prezzo più adeguata per favorire lo sviluppo industriale. Visto che i consorzi ASI hanno la facoltà di cedere i terreni a titolo gratuito o a prezzi agevolati alle imprese che si impegnano a realizzare progetti di sviluppo industriale, quale occasione migliore per supportare strategicamente lo sviluppo in Campania applicando questo principio, anziché cedere questi terreni a speculatori che deprimono lo sviluppo e scoraggiano gli investimenti produttivi? Una particolare attenzione va posta anche al riutilizzo di tutti i capannoni attualmente abbandonati, diventati scempio e ricettacoli di immondizie delle città. È inutile continuare a costruire quando ci sono milioni di cubature industriali abbandonate…”.