(Adnkronos) – In caso di occlusione parziale delle arterie che portano il sangue al cuore, nota come stenosi coronarica, i metodi per ripristinare il corretto flusso ematico sono la terapia farmacologica, l’angioplastica e l’intervento chirurgico di bypass coronarico. La scelta del trattamento più adeguato tra terapia medica e rivascolarizzazione è determinante per la prognosi del paziente e, oggi, si basa prevalentemente su un esame radiologico con mezzo di contrasto, la coronarografia (o angiografia coronarica). Va detto però che, affidarsi alla sola analisi visiva delle immagini radiografiche per valutare la capacità di una lesione di indurre ischemia miocardica potrebbe portare il clinico a sovra o sottostimare la significatività della stenosi, esponendo al rischio di trattamenti non necessari e, viceversa, di differirne altri invece essenziali, con evidenti conseguenze cliniche ed economiche.
Oggi è possibile incrementare il livello di precisione con il quale selezionare i pazienti candidabili ad angioplastica coronarica ricorrendo alla misurazione di alcuni indici fisiologici, raccomandati dalle linee guida internazionali sulla rivascolarizzazione miocardica. Si tratta della metodica chiamata riserva frazionale di flusso (Ffr o iFr), che può essere effettuata, contestualmente alla coronarografia, tramite l’inserimento di una guida di pressione intracoronarica. L’Ffr consentono di stimare la capacità della lesione di indurre ischemia miocardica anche in situazioni dubbie e in presenza di malattia multivasale o di misurare la disfunzione del microcircolo.
E all’appropriatezza diagnostica la rivista di politica sanitaria Italian Health Policy Brief (Ihpb) ha dedicato un focus intitolato “Ottimizzazione della rivascolarizzazione coronarica: appropriatezza ed efficacia della diagnosi”, un documento frutto di un tavolo di lavoro cui hanno preso parte autorevoli esperti italiani rappresentanti delle società scientifiche, del mondo dell’advocacy ed economisti sanitari, oltre che esponenti delle istituzioni come l’Istituto superiore di sanità e l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, Agenas.
La coronarografia – si legge in una nota di Ihpb – è l’esame radiologico che restituisce al clinico le immagini dei vasi ottenute tramite mezzo di contrasto rilasciato in prossimità della lesione da un catetere inserito nell’arteria radiale o femorale. “Esiste una grande variabilità individuale nella valutazione della criticità funzionale della lesione solo sulla base dell’angiografia e delle sue immagini bidimensionali – sottolinea Giovanni Esposito, presidente di Gise (Società italiana di cardiologia interventistica) – proprio per migliorare il processo decisionale, sulla base delle evidenze scientifiche accumulatesi negli ultimi 15 anni, la Ffr è stata inserita nelle linee guida europee di rivascolarizzazione miocardica con il massimo livello di raccomandazione ed evidenza”. Secondo le stime Gise, la valutazione Ffr-guidata consente di “trattare un numero minore di vasi in un’alta percentuale di pazienti e consente di evitare del tutto il trattamento di angioplastica nel 12% dei pazienti”.
“Una rivascolarizzazione guidata dagli indici fisiologici garantisce un outcome clinico migliore – aggiunge Ciro Indolfi, presidente della Società italiana di cardiologia, che insieme a Gise lavora all’implementazione delle innovazioni tecnico-scientifiche in accordo con le più recenti linee guida – riduce il numero di successive rivascolarizzazioni, consente di individuare quegli scenari clinici ad alto rischio, detti di disfunzione del microcircolo coronarico (cmd), caratterizzati da assenza di stenosi pur in presenza di sintomatologia anginosa”. Tuttavia, prosegue la nota di Ihpb, in Italia questo strumento diagnostico viene utilizzato poco rispetto agli altri Paesi europei e la principale ragione è da attribuirsi a ragioni culturali e amministrative: mancanza di un codice che consenta di tracciarne il suo utilizzo e la rimborsabilità della procedura. Questo anche se i dati indicano un buon rapporto costo-efficacia della Ffr.
“La diagnosi più accurata di stenosi sia mono sia plurivaso, la migliore appropriatezza del trattamento delle lesioni coronariche e la riduzione del numero di rivascolarizzazioni non necessarie – osserva Paolo Magni, coordinatore del comitato scientifico “Fondazione italiana per il cuore” – porterebbero anche a una riduzione dei costi e, di conseguenza, ad un miglior utilizzo delle risorse, così come a una più accurata gestione delle esigenze del singolo paziente”.
In un recente documento di consenso del Gise che integra i risultati dello studio Fame nella realtà italiana – ricorda la nota di Ihpb – si calcola che in tre anni il risparmio complessivo medio per il Servizio sanitario nazionale, tra stent non impiantati ed eventi cardiovascolari evitati, ammonterebbe a oltre 37 milioni di euro. Da qui la necessità che la Società italiana di cardiologia interventistica e la Società italiana di cardiologia lavorino per incrementare la diffusione di buone pratiche a livello organizzativo-gestionale all’interno delle regioni e delle singole strutture sanitarie.
“La gestione dei pazienti nell’ambito delle patologie cardiovascolari – sottolinea Enrico Coscioni, presidente Agenas – è ancora troppo eterogenea nonostante l’innovazione tecnologica e le conoscenze cliniche a nostra disposizione. Oggi esistono i presupposti per un cambio di paradigma in termini di cura, che può portare alla revisione di alcune politiche sanitarie e all’adozione di strategie diagnostiche e terapeutiche, capaci di garantire sostenibilità e qualità della presa in carico dei pazienti”.