Non si può parlare ancora di semplici fantasmi che affollano il mondo. Sono ormai veri e propri spiriti maligni quelli che si sono impossessati delle sembianze di esseri umani, solo di alcuni al momento, e stanno facendo danni di ogni genere, quasi sempre senza una motivazione. Si deve così prendere atto e non a cuor sereno, che esiste una ragione per cui l’opinione pubblica difficilmente crede a cuor leggero a ciò che vede, legge o ascolta attraverso i canali ufficiali. C’è una parola che da sola illustra in maniera efficace l’ombra di dubbio evidente, neppure malcelato, che aleggia dietro ogni manifestazione dell’agire umano: il complotto. Animasse solo chi, per limiti culturali o a essi assimilabili, non riuscendo a darsi una spiegazione di quanto sta accadendo, attribuisce la paternità degli eventi a “loro” o al “Grande Vecchio”, passi pure. Sarebbero solo espressioni di una cultura basata prevalentemente sui racconti e i film di fantascienza, quindi qualcosa di abbastanza prevedibile. Tale convinzione diventa un problema quando inizia a tormentare chi ha in mano le leve del comando o aspira a averle. È proprio allora che si instaura una forma di diffidenza generalizzata, quando non addirittura di sospetto marcato: comincia a diffondersi così un comportamento sistematico tendente a destabilizzare l’assetto sociopolitico dei sistemi democratici dove gli autori vivono.Tutto ciò non è certamente foriero di progressi di alcun genere. Mettendo a fuoco l’obiettivo su quanto sta accadendo in Italia, in qualche modo relazionabile con quanto sopra accennato, risaltano situazioni a dir poco deludenti, quando non addirittura sconcertanti. Un indicatore sufficientemente attendibile del disagio che stanno vivendo gli italiani è attingibile dai commenti che fanno ormai tutti, dagli avventori dei vari Bar dello Sport, ai dopolavoristi, ai cittadini e ai contadini, su quanto apprendono soprattutto dal piccolo schermo. Si badi bene, non dai notiziari di emittenti pubbliche e private, ma dai programmi-contenitore (di cosa?) che affollano l’etere. Sono tanti, anzi troppi, quei ring mediatici, nel corso dei quali gli ospiti aspettano il pretesto fornito da qualcuno di loro per dare l’avvio alla recita di un rosario blasfemo, probabilmente organizzato già prima dell’inizio della trasmissione. Quelle invettive prendono spunto da rancori e ostilità covate da tempo. C’è di più. Conseguenza di tutto ciò è che gli epiloghi oramai sono stereotipati. In alcuni casi vengono chiamati in causa, a proposito o a sproposito, appunto il Grande Vecchio o Loro e la questione si stempera. Intanto nella testa dei telespettatori si è amplificata ancor più la confusione che già regnava sovrana. L’alternativa è che quello che, per l’occasione, ritiene di essere l’ospite d’onore del programma, si inalberi e abbandoni la scena, lasciando sconcertati e sfiduciati quanti stavano seguendo quel malriuscito esperimento di una nuova quanto improbabile forma di cabaret. Episodi del genere oramai affollano la quotidianità. Vale però la pena, essendo iniziato il fine settimana, divagare su un episodio che da solo basta a rappresentare più di un aspetto negativo della deriva in cui oramai annaspa una parte consistente di certa cultura o sedicente tale. Essa è improntata acriticamente su una forma di politica militante, morta da tanto tempo ma non sepolta bene, che si comporta come uno zombi. Giorni fa una conduttrice che si stava adoperando, come del resto prevedeva il suo compito, a moderare un dialogo che stava andando su di tono senza motivi plausibili, si è sentita rispondere da uno degli interlocutori invitato a ritornare a forme di dialogo più consone a quell’ incontro che non era lì per prendere ordini da lei. Quel gentiluomo, per modo di dire, immediatamente si è alzato e, insalutato ospite, ha abbandonato lo studio. Il personaggio, già noto per la particolarità del suo approccio non sereno nè tanto meno corredato da esperienze formative super partes, ma soprattutto da tanta scuola di partito, ai problemi italiani, siede in cattedra (proprio così! ) in una università del Sud. A occhio sembra che abbia l’età di uno che, all’inizio o alla fine di quel periodo, in qualche modo abbia vissuto la stagione politica del ’68. Ha proseguito poi il suo percorso di studi e di indottrinamento all’ombra della bandiera rossa con la falce e il martello. Ironia della sorte, con quanto ha detto e fatto in quella trasmissione, ha demolito un pilastro eretto in quegli anni dai sostenitori del nuovo che, a detta degli stessi, avrebbe spazzato via tutto quanto fino a allora realizzato. L’individuo de quo ha messo in scena il sovvertimento di alcuni episodi di quel particolare periodo, che avrà fatto tremare Berlinguer e altri politici del suo genere coevi, ovunque essi si trovino. Il fatto. Correva l’anno ’70 e il mondo, seppure con dosaggi diversi, veniva agitato dalla contestazione giovanile venuta fuori negli USA qualche anno prima. Accadde che uno degli esponenti di quel movimento, già politicizzato quanto basta perché dopo la laurea venisse candidato (n.b: non si candidò, è molto diverso!) da una formazione di estrema sinistra, che aveva un piede dentro e l’altro fuori dell’ arco costituzionale. Come era scontato che accadesse, quel tribuno risultò eletto alla Camera dei Deputati con un bel pò di voti. In una assemblea studentesca che si stava tenendo all’interno dell’aula magna di una antica e prestigiosa università dell’Italia centrale, quel personaggio arringava studenti e docenti, convocati e convenuti all’incontro con spirito di collaborazione. Un anziano cattedratico di fama internazionale, di quelli che erano definiti caposcuola, azzardò a fargli una domanda, evidentemente non gradita. Il presidente di quell’assemblea gli rispose adirato, invitandolo a stare zitto mentre lui stesse parlando. Aggiungendo che doveva a lui e all’assemblea che stava presiedendo, il poter partecipare a quei lavori, in quanto la sua presenza il quel consesso trovava giustificazione nel fatto che, insieme agli altri docenti, era al servizio degli studenti. Senza batter ciglio, l’anziano professore rispose che, tanto lui che i suoi colleghi, non erano né a servizio intero, né a mezzo servizio. Erano tra quelle mura a tempo indeterminato per svolgere il loro compito e solo quello: insegnare con obiettività le proprie materie, cercando di tenere il più possibile separata l’attività didattica da quella politica. Gli animi si calmarono e nessuno andò via prima del tempo stabilito. È passato oltre mezzo secolo e ancora succede di dover prendere atto che la libertà di pensiero resti molto spesso una chimera. Prevalentemente tale comportamento è riconducibile a chi, in completa cattiva fede, vorrebbe far credere di essere sostenitore di quegli stessi principi. I concetti appena accennati potranno sembrare anche argomenti fuori luogo in costanza di eventi molto gravi quali sono quelli che stanno assillando attualmente il mondo. Con l’augurio che possa tornare di qualche utilità, vale comunque la pena ricordare che il vivere civile è l’esatto opposto della barbarie. Gli episodi riportati sopra sono senza dubbio espressioni di comportamenti barbari e anche di espressioni peggiori.