Commissioni di “massimo scoperto”, Cassazione penale contro Cassazione Civile

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Con sentenza n.22270 del 3 novembre 2016, la prima sezione civile della Corte di Cassazione è tornata sul tema, oramai annoso, della rilevanza da attribuire alle commissioni di massimo scoperto, addebitate dagli istituti di credito nell’ambito dei rapporti di conto corrente, ai fini della verifica – ex legge n.108/1996 – del TEG praticato dalla banca. Mediante la sentenza in commento la Suprema Corte, andando a consolidare il proprio orientamento (vedasi Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza n.12965 del 22.06.2016), ha ribadito che, sino all’anno 2009, le commissioni di massimo scoperto non debbano essere ricomprese nel calcolo del TEG, da determinarsi in conformità alle istruzioni all’uopo emanate dalla Banca d’Italia, istruzioni che – per l’appunto – escludono dal computo del TEG il prefato onere sino al 2009.

La conclusione cui giunge la Cassazione trae principalmente origine dal comma secondo dell’art.2 bis del decreto legge n.185 del 2008 – introdotto dalla legge di conversione n.2 del 28 gennaio 2009 – che da un lato ha espressamente stabilito che “gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’articolo 1815 del codice civile, dell’articolo 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108”, dall’altro ha previsto che “il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia, emana disposizioni transitorie in relazione all’applicazione dell’articolo 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108, per stabilire che il limite previsto dal terzo comma dell’articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni”.

Secondo i giudici ermellini, alla mentovata disposizione normativa non può riconoscersi natura interpretativa, trattandosi – piuttosto – di un intervento di carattere innovativo. Pertanto, tenuto conto che la Banca d’Italia soltanto con l’aggiornamento dell’agosto 2009 delle proprie “istruzioni” (vigenti per la rilevazione dei tassi soglia decorrenti dal 2010) ha stabilito che le commissioni di massimo scoperto (e gli oneri equipollenti) rilevino ai fini del calcolo del TEGM, la Cassazione ha ribadito che, sino a tale data, la verifica della conformità alla normativa antiusura del TEG di un rapporto di conto corrente debba essere fatta escludendo dal suo computo le commissioni di massimo scoperto.

In sintesi, l’orientamento sul tema assunto dalla prima sezione civile della Corte di Cassazione si contrappone in maniera netta a quello assunto – sulla stessa questione – dalla seconda sezione penale del medesimo Supremo Collegio: con la sentenza in commento, difatti, i giudici civili hanno espressamente criticato le pronunce n.12028/2010, n.28743/2010 e n.46669/2011 mediante le quali i colleghi della seconda sezione penale – riconoscendo natura interpretativa (e non innovativa) all’art.2 bis del decreto legge n.185/2008 – avevano giudicato le commissioni di massimo scoperto rilevanti ai fini del computo del TEG anche per il periodo antecedente al 2010 e ciò a prescindere dalle difformi indicazioni impartite dalla Banca d’Italia. La Cassazione penale, difatti, non risparmiando toni sanzionatori nei confronti dell’Istituto centrale, ha sempre fondato le proprie tesi sull’ineludibile – e invero assai chiaro – disposto dell’art.644 c.p., secondo il quale “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”.

Di contro, i giudici della prima sezione civile, assumendo un orientamento francamente non condivisibile e peraltro stridente con la natura di “remunerazione dell’obbligo della banca di tenere a disposizione dell’accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo” attribuita dagli stessi giudici alla commissione di massimo scoperto, hanno deciso di anteporre le istruzioni della Banca d’Italia alla norma penale. Purtroppo, ancora una volta, si è persa l’occasione per dirimere una questione la cui soluzione, a parere di chi scrive, non sembra francamente impossibile: atteso che sin dalla prima rilevazione dei TEGM la Banca d’Italia ha provveduto a rilevare, con annotazione separata, l’aliquota mediamente praticata dalle banche ai fini del computo delle commissioni di massimo scoperto, basterebbe chiedere alla Banca d’Italia di rideterminare la serie storica dei TEGM includendo nel computo anche la cms media e, successivamente, adottare un opportuno provvedimento che possa formalmente rettificare la serie storica dei “tassi soglia” fino al 2009.
Nelle more, i giudici della prima sezione civile della Corte di Cassazione dovrebbero chiarirci come si possa spiegare ad un correntista/imprenditore che le commissioni di massimo scoperto da questi pagate sino al 2009 non rappresentano una “remunerazione collegata all’erogazione del credito” percepita dalla banca.