Coltivare curiosità ed emozione del turista è il principio base di una buona gestione

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Ogni luogo ricco d’opere d’arte è uno scrigno, l’arte è il petrolio della Campania, anzi dell’Italia, l’Italia ha il 50% del patrimonio artistico mondiale… non ci sono più le mezze stagioni, ai miei tempi….. luoghi comuni che ogni giorno sentiamo enunciare e ai quali spesso ribattiamo con altrettanti miti scontati, sicuri che non potranno mai essere sfatati semplicemente perché nessuno potrebbe o vorrebbe farlo. Uno scrigno per definizione contiene tesori, il tesoro è un accumulo di ricchezze, la ricchezza è una condizione di agiatezza economica connessa per lo più a un abbondante disponibilità di denaro e quindi di beni. Quando qualcuno afferma che la Campania è uno scrigno d’arte presuppone dunque una traducibilità di questi beni artistici in soldi. Bene, ottimo, se questa trasformazione avvenisse. Per il momento, nonostante alcuni pochissimi tentativi, le nostre opere d’arte non sembrano attive sul fronte produttivo. Non cadremo dunque nel secondo luogo comune sul petrolio artistico dell’Italia, ma non sarebbe neanche giusto negare che un buon uso dei beni artistici potrebbe, anzi dovrebbe, apportare produttività e indipendenza economica. Inutile pronunciare di continuo il famoso “apriti sesamo!” per trovare lo scrigno pieno d’oro. Bastassero le parole magiche! Ogni angolo del pianeta e non solo del territorio nazionale risuonerebbe della magica esclamazione. I beni artistici sono infatti dovunque sulla terra. Sfatiamo così il terzo abusatissimo luogo comune sul 50% del patrimonio artistico mondiale ubicato in Italia. Se prendessimo come unità di misura il numero di siti inclusi nel Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, risulterebbe che, su un totale di 936 tra siti culturali (725), ambientali (183) e misti (28), in Italia ci sono 47 siti riconosciuti (di cui 44 culturali e 3 ambientali) quindi solo il 5,02% del totale. Se considerassimo invece i soli siti culturali in Italia ne potremmo contare 44 su 725: il 6,06%. È vero però che l’Italia è il paese che ha il maggior numero di siti riconosciuti dall’UNESCO. Siamo un territorio piccolo con altissima densità di presenze artistiche, paesaggistiche architettoniche e ambientali e questa è la nostra forza. In Italia, e in Campania in modo ancora più eclatante, urla però l’assenza di un coordinamento della gestione del patrimonio. E prima ancora del coordinamento bisognerebbe avere una buona pratica della gestione. Immaginiamo la Reggia di Caserta, San Leucio, Sant’Angelo in Formis, il Museo di Capua, Carditello e l’anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere coordinati e connessi da un’unica metodologia gestionale. Il turismo potrebbe diffondersi anche nei luoghi meno conosciuti, con esperienze culturali emozionanti che fornirebbero anche il quadro del grado di interesse di un intero comparto: Terra di Lavoro. Curiosità ed emozione del turista devono esse coltivate e preparate con metodo e precisione. Nessun eccesso e nessuna caduta d’interesse. Un esempio? Chi ha potuto fare una visita guidata a San Leucio? Pronunciare il nome di questo sito vuol dire pensare alle sete, ai broccati, al lampasso: il sito e l’attività che lo caratterizzavano sono inscindibili. Le macchine esposte sono marchingegni il cui funzionamento nonostante le didascaliche spiegazioni resta un mistero. Le guide danno l’impressione di potersi sedersi e filare proprio in quel momento, mentre però spiegano il funzionamento nell’unico modo capace di distogliere l’attenzione del visitatore da oggetti di enorme interesse pratico: teoria, null’altro che teoria. Si guardano le macchine, si capisce che ci vogliono molti passaggi prima di arrivare al risultato finale, e si cade in stand by d’attenzione. La visita agli appartamenti dei reali e dei loro pargoli riaccende la curiosità ma è ormai la parte finale della visita e il tempo a disposizione è terminato. Le gigantesche attrezzature con i loro complessi marchingegni sono state un passaggio obbligato che, dopo il primo sguardo di meraviglia, sono restate solo un mirabile ma astruso arcano. Il metodo interpretativo suggerirebbe una smart lesson pratica: un operaio vero che usi davvero i grandi telai spiegando i passaggi che, così raccontati in modo puntuale e pratico, potrebbero davvero provocare un interesse vivo per tutta l’opera di tessitura. Le macchine in questo modo rimarrebbero attive e manutenute, i visitatori non subirebbero la “lezione d’uso”, e forse anche la vendita, successiva alla visita, di piccoli gadget in tessuto potrebbe avere un suo riscontro economico. In Inghilterra la valle del Gorge, culla della rivoluzione industriale, è diventata in pochi anni un enorme museo all’aperto, visitato da milioni di turisti, crescendo gradualmente in un meccanismo che facilmente potrebbe essere usato a San Leucio. Partendo dalle prime esposizioni del celeberrimo ponte settecentesco in ghisa e del primo altoforno della storia, sono state aggiunte esperienze relative all’uso e alla vita che si svolgeva nel villaggio. Oggi il visitatore arrivando nella valle entra fisicamente e mentalmente nella vita della rivoluzione industriale inglese, scendendo nelle miniere di carbone e di catrame, navigando nel complesso sistema di canali e chiuse, visitando fabbriche ottocentesche di porcellane ed oggetti in ferro e ghisa, assiste a dimostrazioni sul funzionamento delle macchine e, in occasioni speciali, passeggia in un villaggio vittoriano abitato da personaggi in costume. Ogni luogo ha Ia sua storia e la sua cultura, e non è possibile esportare esperienze senza i necessari adattamenti; Lo studio della gestione dei beni culturali in altre nazioni può però riuscire prezioso per la soluzione di molti nostri problemi.