A cura di Roberto Paura Solo dopo un mese dall’incidente l’Air Force americana ha fornito i dettagli dell’esplosione di un suo satellite militare, il Dmsp-F13, lanciato in A cura di Roberto Paura Solo dopo un mese dall’incidente l’Air Force americana ha fornito i dettagli dell’esplosione di un suo satellite militare, il Dmsp-F13, lanciato in orbita nel 1995 nell’ambito di un programma di osservazione della Terra. Il satellite era semi-operativo e in via di disattivazione, ma un picco nell’energia delle batteria lo ha distrutto in 43 pezzi. Nel 2004 un’analoga esplosione distrusse un altro satellite della costellazione, producendo 56 pezzi di space debris, la “spazzatura spaziale” ormai diventata un problema di estrema gravità. Non c’è il rischio di collisione con la Stazione Spaziale Internazionale, come nello scenario raccontato dal film Gravity, ma c’è comunque preoccupazione. L’1,5% delle avarie satellitari in orbita è collegata a impatti di space debris e la percentuale è destinata a salire. In Italia la startup D-Orbit è all’avanguardia nella corsa a una soluzione del problema della spazzatura spaziale, con un progetto che intende dotare tutti i nuovi satelliti di un sistema che permetta il loro rientro sicuro in atmosfera o il parcheggio in un’orbita “cimitero” al termine del ciclo operativo. “Tra i 6000 satelliti lanciati a oggi nello spazio, quasi 4000 sono ancora lì e solo il 30% è ancora operativi”, sottolinea Luca Rossettini, Ceo di D-Orbit. “Il restante 70% orbita in modo incontrollato alla velocità di quasi 30mila chilometri orari, aumentando il rischio di collisione con un altro satellite”. Un problema che minaccia il futuro stesso delle missioni spaziali.