Ieri, ultima domenica di luglio, in un passato recente, per buona parte degli italiani sarebbe stata tempo di abbassare le saracinesche reali e anche simboliche del “chiuso per ferie”. Le stesse sarebbero state riaperte gradatamente dopo Ferragosto, data in cui si “rompevano i tempi”, cioè che assisteva al verificarsi dei primi acquazzoni. Ciò faceva dire agli italiani, attingendo da parte di quanti tra loro avessero un vissuto in campagna, che gli stessi erano le avvisaglie dell’arrivo del fresco e l’avanguardia del Generale Inverno. Da tempo non è più così in tutti i sensi: sono molto più limitati i giorni di vacanza e le avvisaglie dell’autunno si presentano ben oltre il 21 di settembre, con l’equinozio che da il via ufficiale alla stagione autunnale. Quella che ispirò “le foglie morte”, la struggente quanto pittorica composizione di Jacques Prévert, portata in musica da Yves Montand.
Normalmente il cambio di stagione per il vestiario sta iniziando da tempo con la fine di ottobre. Comunque il fermo totale delle attività lavorative era una prerogativa tipicamente italiana, non certo di aiuto nel confermare la laboriosità di quel popolo. La stessa che, appena si presentava l’occasione, alimentava paragoni non lusinghieri con quella dei popoli ispanici. A osservare con particolare attenzione tale evoluzione delle abitudini tricolori, c’è qualcosa che esula dalla volontà degli italiani, come del resto degli altri popoli della Casa Comune, che influisce pesantemente e diffusamente sull’argomento vacanze: la diminuita entità nel budget familiare della voce di spesa “vacanze”. Solo in parte essa è voluta, mentre di massima è subita. E non esiste altro modo di far quadrare i bilanci familiari se non quello di ridimensionare drasticamente le attività non strettamente necessarie, cioè quelle di svago. C’è da aggiungere che la notte prima della partenza per mari e monti e tutte le mete prescelte, una iniziativa tra il beffardo e la presa per i fondelli si è concretata in danno degli automobilisti: un forte aumento dei prezzi dei carburanti, proprio ora che il mercato è pressoché tranquillo. Per ora basta evidenziare il fatto e, al ritorno, se ne esamineranno meglio le dinamiche.
C’è qualcosa che vale la pena commentare con distensione da clima vacanziero. Mentre la Signora Meloni era oltre l’ Atlantico, a Washington, a Napoli e nei suoi dintorni passeggiava come un qualsiasi turista italo americano, venuto per la seconda volta dall’inizio del secolo, a visitare la terra che diede i natali ai suoi avi, il Meridione del Paese: gli stessi provenivano dal Molise. Quel personaggio, Robert De Niro, vestito come il prototipo del filoamericano descritto all’epoca da Renato Carosone, cioè con i pantaloni con uno stemma sul retro e un cappellino con la visiera alzata. Ha passeggiato per la città come un qualunque napoletano emigrato di ritorno. E, dall’inizio del secolo, è la seconda volta che lo fa. Lui che è ricordato per la parte del giovane mafioso di origine italiana ma nato in America, in Mean Street, a cui Martin Scorsese fa dire che, essendo figlio di italiani, deve per forza vestire bene e essere devoto a San Francesco: il sangue raramente rinnega se stesso. Ritornando alla Signora Premier, la stessa ha fatto il pieno di consensi e è tornata a Roma con un riconoscimento da parte di Biden che da solo avrebbe fatto gongolare anche il più forte dei suoi avversari: le ha detto di considerarla una amica. Il carosello di episodi significativi non si può chiudere senza citare il colloquio di Henry con la “dear Giorgia”. Quando al primo lucevano gli anni, venendo in Italia in missione, faceva tappa prima a Torino, al Lingotto, a salutare il suo “old friend Gianni”. Con l’occasione gli chiedeva, davanti a una tazza di caffè, di fargli il quadro della situazione del Paese. In tal modo a Roma sarebbe arrivato già preparato.
A Washington ha fatto di meglio: con oltre cento sacchi sulle spalle, si è premurato di andare lui incontro alla giovane Capo del Governo Italiana. Comunque si ponga l’attenzione sui comportamenti, sarà sempre la cultura, in uno con il corretto uso del mondo, che farà la differenza. Tutto in coerenza, almeno per una volta e meno male.