Che cosa ci insegna la carenza di prodotti della terra provocata dalla barbarie russa in Ucraina

Tra le tante reazioni originate dalla carenza generalizzata dei prodotti della terra, in buona parte provocate dalla barbarie che si sta consumando ai confini a est dell’Europa, alcune possono essere interpretate positivamente e come viatico per quanto si dovrà fare d’ora in poi. Flash-back sullo stato dell’ arte. La Cenerentola dell’economia, l’agricoltura o settore primario che definire la si voglia, probabilmente si è ribellata naturalmente a quel ruolo in cui la società industriale voleva tenerla confinata dalla metà del secolo scorso e sta cercando, con successo, di uscirne. Si apprende così che un’università italiana, per di più tra quelle tenute in maggior considerazione nell’ambiente scientifico internazionale, la Bocconi, si sta dedicando da tempo a un approccio singolare al passaggio in atto alla green economy. Lo sta facendo partendo appunto da una delle prime attività che hanno coinvolto l’uomo da quando ha potuto usare qualcosa che aprisse la terra, probabilmente un osso di un animale cacciato e poi mangiato. Ciò che è già venuto fuori dalla ricerca appena accennata, è che esiste una correlazione non occasionale tra alcune fasi dello sviluppo dei vegetali che lasciano poco spazio al caso. È singolare altresi, pur senza produrre meraviglia, che a condurre con successo questa ricerca sia l’Università Commerciale Luigi Bocconi e non una facoltà di agraria o a essa assimilata, in teoria più adatta alla bisogna. Si sa comunque che è meglio partire da zero che non essere condizionati da antefatti che potrebbero disturbare il lavoro con presupposti datati, se non addirittura fuori del tempo. Riassunto in breve, il filo conduttore della ricerca in esame è talmente lineare che potrebbe indurre, non correttamente, a credere che le informazioni che stanno venendo fuori, almeno fin’ora, siano ovvie o poco più. Non è certamente vero e, evitando di scadere in polemiche sterili, è meglio dedicarsi con particolare attenzione a quei risultati della sperimentazione, per una volta confortanti. La ratio che sta trovando conferma passo dopo passo è che, se si rispetta l’avvicendamento colturale, cioè la messa a dimora di piante di volta in volta diverse in luoghi anche essi oggetto di turnazioni, si hanno molteplici vantaggi, non solo di tipo economico, quanto in termini di riequilibrio dell’ambiente. È superfluo riproporre la questione della concentrazione della produzione dei cereali accentrata in poche regioni produttive: si deve porre rimedio con la diversificazione delle altre zone, altrimenti si resta al livello dei dialoghi tra frati lavoranti. È molto interessante osservare che gli apparati vegetali, se messi a dimora alternandoli nello spazio e nel tempo, oltre a avere una migliore e maggiore produttività, esercitano ruoli molto rilevanti nel completamento della struttura chimico fisica del terreno, nonchè una bonifica naturale e consistente dell’ambiente in cui crescono. Più precisamente, se con tale prassi colturale le piante cedono al terreno elementi che ne arricchiscono la struttura, dall’altra anche l’anidride carbonica, assorbita in ragione di percentuali a doppia cifra di quanta ce n’è nell’aria, viene inviata al terreno sottostante. L’importante di questa constatazione è che esiste un ordine naturale che va assolutamente rispettato, anche se in antitesi con quella che è stata una pratica colturale della seconda metà del secolo scorso che prese piede anche nel bacino del Mediterraneo. Si tratta del set aside, che alla lettera significa: metti da parte. Fu inserita negli anni ’80 tra le agevolazioni comunitarie dall’ eurodeputato inglese Mac Shaan e consisteva nel corrispondere un indennizzo a chi lasciava il proprio terreno incolto, per rigenerarsi. La durata di tale operazione poteva arrivare fino a venti anni, con le conseguenze che è facile immaginare. Il vero obiettivo comunque era quello di togliere dal ciclo produttivo un certo numero di ettari, poiché si stavano verificando di continuo situazioni di sovrapproduzione che deprimevano il mercato. Quella che si faceva sentire più di ogni altra era proprio l’eccedenza di produzione di grano. La gestione del problema non fu un successo e il mercato di quei prodotti ha subito diversi scossoni. Essi, al momento, fanno sentire ancora tutta la loro onda lunga. Nell’antica Roma i naturalisti sostenevano che “non per saltus, sed per gradus, natura procedit”. Negli anni ’60 il famoso matematico napoletano, il Professor Renato Caccioppoli, molto attento ai fenomeni naturali, più volte si pronunciò asserendo, con una visione animista, che l’ambiente non avrebbe mai accettato di essere costretto a condizionamenti imposti dagli umani. Del resto, circa un secolo prima, un altro matematico, questa volta inglese, il Professor Lewis Carroll, aveva inquadrato con toni più lievi il comportamento della natura che arrivava a diventare matrigna se forzata. Intorno a questa osservazione egli scrisse una favola: Alice nel paese delle meraviglie. È tra le più lette in assoluto, almeno fino a oggi.