C’erano una volta la Fiat e gli Agnelli, orgoglio d’Italia…

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Non è semplice organizzare la settimana. E la situazione a oggi, un lunedì di fine settembre e il guazzabuglio in cui si dibatte l’Italia e buona parte del mondo continua a aumentare. Giocando, si fa per dire, in casa (Italia), il “Grande Vecchio” della Finanza italiana, così era definito da molti nel suo ambiente, da taciturno che era, sarebbe rimasto completamente zitto o avrebbe rivelato un talento da cantante urlatore ormai fuori concorso. Conoscendone la maggior parte degli italiani, seppure per solo sentito dire, la riservatezza che si era personalizzata in lui, si sarebbe comportato come era suo solito, ancor più al riparo da orecchie indiscrete.
I fatti. Il Paese, quello reale, sta, ormai da tempo, sempre più rimanendo prigioniero di persone e cose definibili almeno poco lineari. Va notato che gli strumenti che usano i personaggi coinvolti per danneggiare l’Italia a vantaggio loro e dei loro supporter, il più delle volte non sono materiali. Cionostante causano effetti uguali se non più deleteri di quelli fisici. Uno di essi, per eccellenza, è la cattiva, se non pessima, impressione che ricavano sia gli italiani che, in breve tempo, chiunque venga a contatto con tale realtà. Quella di qua dalle Alpi, avendo modo di osservarla attentamente. In un modo o nell’altro, chi ha contatti con lo Stivale, l’accostamento è purtroppo dovuto, soprattutto se gli interlocutori che si propongono fanno parte della classe politica. Insieme a loro, alcuni mostri sacri (?) dell’imprenditoria e altra gente di pari levatura (è necessaria ancora una volta inserire la chiosa “solo per modo di dire”). Gli interlocutori accennati si accorgono che, così facendo, il rischio di rimetterci “terzi e capitale” è più di una diceria dell’Untore. L’ espressione tra virgolette in campagna è la versione rustica di interessi più sorta capitale. Bisogna scendere nel merito di alcuni episodi del pasticciaccio brutto sfornato a Torino che, ormai da tanti giorni, sta facendo sponda alla ormai più che diffusa e probabilmente abusata, proposizione della telenovela ministeriale. Il caso vuole che a Napoli Ministeriale sia il nome di un dolce. È quindi opportuno rivolgere l’ attenzione a alcuni Sepolcri Imbiancati. La gloriosa Fabbrica Italiana Automobili Torino, la FIAT, arcinota a livello internazionale, é arrivata dove, mai prima d’ora era stata portata. Da orgoglio nazionale è arrivata a essere un esempio da non imitare di fare impresa a ogni latitudine. Per gli azionisti essa sta costituendo una perdita, non solo di prestigio, ma anche di asset, reali e finanziari, tale da tenere con il fiato sospeso, oltre che gli azionisti di piccola caratura, anche quelli di riferimento. Essi, per vie traverse, vanno comunque a collegarsi con la famiglia Agnelli, rectius con quanto è rimasto della stessa. I problemi di quella che fu una grande azienda possono essere riassunti in una breve espressione: mala gestio. Molto probabilmente quella stessa é stata causata dal management inadeguato, comprendente anche amministratori esterni, da anni sempre più presenti in quella realtà. Più semplicemente, ancora una volta alla generazione di Razza Padrona- quella dell’Avvocato e dei suoi fratelli- ne è succeduta una che è preferibile non definire. Una delle tante leggende che circolano intorno a quello che creò il tempio della finanza italiana Mediobanca e ne fu presidente vita natural durante Enrico Cuccia, riguarda la sua schiettezza. Ai tempi della prima crisi energetica, inizio anni ’70, nonché del matrimonio che non si sarebbe dovuto fare tra quell’azienda automobilistica italiana e il Governo libico, con il beneplacito del colonnello Gheddafi, l’Avvocato e suo fratello il Dottore si recarono per consiglio dal Presidente di Mediobanca. Tolta l’udienza, congedando i suoi ospiti, Cuccia, rivolgendosi al più grande dei fratelli, Giovanni, disse che, fin quando fosse rimasto lui alla guida di Mirafiori e di tutto il resto, avrebbe potuto contare su di lui. Solo per ricordo, il candidato a succedere all’ Avvocato fu per lungo tempo il Dottore suo fratello, poi il disegno non si concretò per la scomparsa di Umberto. Arrivando all’attualità, gli Elkann imparentatisi con gli Agnelli con il matrimonio di due giovani esponenti, i genitori dell’attuale presidente di quello strano connubio franco italiano americano che è Stellantis, sempre più assiduamente frequentano le aule dei tribunali internazionali. Non solo per questioni ereditarie, quanto per super marachelle fiscali e di altro genere altrettanto gravi, che avrebbero commesso una volta entrati nella stanza dei bottoni. E pensare che a metà degli anni ’70, una loro prozia, Susanna, sorella del nonno Giovanni, diede alle stampe un romanzo autobiografico dal titolo accattivante:” Vestivamo alla marinara”. L’ autrice racconta tra l’altro che le bambinaie che avevano il compito di accompagnare lei e i suoi fratelli quando uscivano, prima di arrivare dove erano diretti, raccomandavano loro di comportarsi bene. Non dimenticavano di aggiungere, sempre in inglese, che dovevano ricordare in ogni occasione di far parte della famiglia Agnelli. Oggi non sarebbe sbagliato aggiungere l’espressione papalina “sic transit gloria mundi”, la fama su questo mondo sparisce in fretta.