C’era una volta l’Automobile italiana

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Per un periodo di tempo, quello che va dagli anni ’50 ai ’70, dappertutto nel mondo
possedere un’ automobile italiana è stato un privilegio, pari quasi a quello di averne una inglese. Il primato delle vetture costruite Oltremanica era sostenuto anche dalla presenza di rappresentanti ufficiali dell’ Impero del Regno Unito nelle colonie, aveva fatto conoscere quelle auto prestigioss ai ricchi dignitari locali. Furono essi involontari ma efficaci promoter di quegli status symbol, specie a est del pianeta, anche quello estremo. Lo stesso successe
nel resto del mondo e la diffusione di quel mezzo di trasporto seguì una trafila simile a quella già citata. L’ Inghilterra fu seguita a ruota dall’ Italia. I modelli prodotti con un occhio particolarmente attento alla loro destinazione, conquistarono ben presto notevoli quote di mercato. Va anche aggiunto che il prezzo di acquisto delle auto italiane era sensibilmente più approcciabile di quello richiesto dalle industrie d’ Oltremanica. In termini ridotti al minimo, i veicoli a motore costruiti nel Paese permisero la conoscenza e l’ introduzione successiva del Made in Italy. Esso sarebbe divenuto segno distintivo in tempi più recenti. In Italia, intanto, operavano dagli inizi del secolo aziende che costruivano ogni sorta di veicoli a motore e, ancora oggi, alcune di esse sono attive. È cambiata talvolta la proprietà, passando in mano a persone diverse dai discendenti dei fondatori. Spicca, con l’augurio che non troppo a lungo si debba dire spiccava, la Fabbrica Italiana Automobili Torino. Fondata nei primi anni del ‘900 da Giovanni Agnelli, agrario e Senatore del Regno, allargò anche in altri campi, oltre l’automobile, l’attività motoristica. Prova ne è che la pubblicità illustrata, presente soprattutto ai lati delle strade più importanti dell’ epoca, conteneva la sintesi:”FIAT, terra, cielo e mare” e sullo sfondo riproduzioni di paesaggi del Bel Paese. Si aggiunga che, per un certo periodo, quella stessa azienda costruì anche prodotti di altri settori merceologici, tra l’altro frigoriferi. Non saranno in troppi a rimanerne meravigliati, perchè a Est, in Giappone soprattutto, questa filosofia è ancora adottata, anche se solo in forma ridotta. Negli anni quel simbolo dell’Italia che, da paese agricolo, si andava industrializzando in maniera consistente e a gran velocità, cannibalizzò diversi altri marchi del settore,anche all’estero. Con aziende locali sparse dappertutto nel mondo, furono conclusi accordi per la costruzione o il montaggio in loco di alcuni modelli in produzione, non di rado modificati per adattarli ai bisogni specifici di quel mercato. Di seguito la FIAT iniziò a dedicare parte dei propri utili a costituire società finanziarie con lo scopo di agevolare gli acquisti dei beni prodotti da essa stessa e aziende collegate, anche quelle facenti parte dell’ indotto. Applicando condizioni di pagamento particolari che avrebbero apportato solo benefici a tutta la sua galassia. Dopo il fondatore, alla presidenza di quella azienda andò il Professor Vittorio Valletta, che fu una specie di Re Mida. Lasciò al suo successore un forziere non molto diverso da quello di Zio Paperone. Era questi Giovanni Agnelli, nipote omonimo di chi aveva creato quella realtá. Per tutti era l’Avvocato, un misto di pregi e difetti che incarnavano, portato a grandezza estrema,” l’Italiano
di qualità”. Sotto la sua governance iniziarono i problemi del comparto, agli inizi degli anni ’70, esaltati dalla prima crisi energetica. Dopo tante vicissitudini aziendali e familiari, quel vanto italiano iniziò a affrontare problemi sempre più importanti di conduzione che, per forza di cose, dovette uscire dall’ ambito familiare. Dopo il mandato di CEO conferito a Sergio Marchionne, che, qualche anno fa lasciò prima del tempo l’incarico e questo mondo, traversie interne e, con la stessa importanza, contingenze esterne, stanno ancora infliggendo a quel comparto e in particolare a quella azienda, colpi talvolta quasi mortali. Quella realtà, che era stata un vanto del Paese e quindi di Torino, non è più italiana ma francese. Ha cambiato nome in Stellantis -sembra il titolo di un intero programma – e il leggendario acronimo, FIAT, che era uno dei simboli dell’ “Italia che produce”, é attualmente spazzata dalla tempesta, non solo quella che sta colpendo quella attivitá insieme a tante altre, ma ancora situazioni collegate. Basti pensare all’indotto che, negli anni, era stato stimolato a nascere e poi a crescere. Ora l’ azienda torinese è paragonabile a una piccola isola come tante altre in un arcipelago non più familiare ma composto da finanziare. Il tutto fa pensare alla frase che solennemente pronuncia il Cardinale Camerlengo quando si insedia un nuovo Papa. Bruciando una penna di gallina, sistemata sulla punta di un bastone, durata della fiamma qualche secondo, dice: “Santo Padre, così(velocemente) passa la gloria del mondo. Solo che quel Cardinale si esprime in latino e ciò rende la breve funzione particolarmente suggestiva.