C’è guerra e guerra

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Si resta più che turbati ogni qual volta si viene a conoscenza delle migliaia di morti causate dalle tante guerre e guerriglie che attualmente si stanno combattendo ai quattro angoli del mondo. Quelle vittime sono le espressioni più tragiche dei dissidi tra chi le combatte, esasperate fino all’ ultimo stadio. Facendo più sensazione, dette forme di scontro mettono in ombra altre espressioni di violenza che in genere non sfociano in fatti di sangue. Non per tanto le stesse sono meno sconvolgenti delle prime. Se non combattimenti veri e propri, si porrebbe il quesito avendo calma e serenità di pensiero, di come definire tutto quanto turba il quieto vivere, dovunque spunti il sole. Questa premessa alle considerazioni che seguono ha l’ambizione di togliere il velo al perché la violenza dilaghi in misura sempre più consistente e simile alla barbarie. Per completezza, l’uso al plurale di quella definizione sarebbe probabilmente più adatto ma anche dispersivo per cui è usata la forma singolare, che comprenderà tutte le variazioni sul tema. Se è vero che gli episodi di violenza fisica in Italia stanno diventando sempre più frequenti, lo è anche che il disagio sociale sta seguendo lo stesso processo con conseguenze non facilmente ipotizzabili né prevedibili. L’aspetto più che preoccupante è che oramai è quasi la norma assistere a sedute parlamentari che di consono alla loro funzione hanno poco o addirittura niente.
Quei rappresentati del popolo che siedono nelle aule di Montecitorio, fanno ben altro che instaurare con gli altri colleghi, compresi quanti non la pensino al loro stesso modo, una forma di confronto leale volto a provocare risultati positivi per il Paese. In ogni seduta, se tutto procede liscio, viene offerto a chi osserva uno sguaiato scambio di offese,, ancor più di quanto faccia il pubblico chiassoso che frequenta i combattimenti tra galli in America Latina. In questi giorni, chiunque si stia approcciando a quanto sta accadendo all’interno delle aule parlamentari, a un certo punto di quello “spettacolo”, si sarà augurato che quanto percepiva fosse solo un incubo. Se così non fosse stato, sarebbe stato forzato a accettare che lo stesso fosse un thriller in piena regola. Ciò darebbe veramente motivo di accostare quella dell’esecutivo italiano all’ operatività di governo delle realtà geopolitiche innanzi considerate, quelle del Sud America. Ciò di certo non costituirebbe un punto di merito per la democrazia, di cui, in altri tempi, l’Italia era indiscussa alfiere. Quanto appresso non sia scambiata per un’ esagerazione. Sul finire degli anni ’60 il Paese si trovò pericolosamente sulla soglia del confine che lo avrebbe potuto immettere in una forma di amministrazione definibile con un eufemismo autoritaria. Il Professor Salvatore D’Albergo, eminente costituzionalista, ipotizzò allora la possibilità di una presa del potere incruenta da parte di chi non aveva dimestichezza con la vita civile. Ciò in quanto indossava quotidianamente una divisa e inoltre era legittimato all’uso delle armi, seppure per difesa. In effetti quel docente focalizzava l’attenzione su varchi della Costituzione da lui ritenuti non vigilati che avrebbero potuto permettere a elementi distorti di alto grado dell’apparato pubblico di risalire fino al ponte di comando. Senza scendere nei particolari, è sufficiente aggiungere che, nel corso degli anni ’70, quanti scalpitavano per dar forma a quei pensieri indecenti, rivolsero l’attenzione a altri tipi di lotta contro il potere – quale ?-  quegli stessi che hanno avuto poi un comportamento tanto plateale quanto inconcludente. Non così per i prosecutori dell’opera dei protagonisti della contestazione globale, più conosciuta come quelli del ’68. Da allora quel movimento ha preso l’andamento di un fiume carsico, almeno fino a qualche tempo fa. Ora i dimostranti sono oltre che evoluti, anche meglio organizzati e con più stretti contatti internazionali. Ferma restante la libertà di pensiero e parola, anche essa riconosciuta inattaccabile dalla Costituzione, è bene non tralasciare che c’ è un tempo per ogni cosa. Tanto è leggibile anche in un brano di un Vangelo. Quello attuale, già carico di problemi più che gravi, non sarebbe stato certamente da annoverare, a futura memoria, tra i più qualificabili di vacche grasse. Intanto la brocca si è incrinata e il liquido ne sta uscendo copioso. Proprio mentre la situazione socioeconomica in generale è, purtroppo, sempre grave e richiede la massima concentrazione. Dalla Fed è arrivata la notizia di un ulteriore incremento del tasso di interesse del dollaro, che ha preceduto di poche ore un provvedimento analogo da parte della Bce sull’ euro. Come questi, anche altri problemi come l’occupazione e la chiusura preoccupante di aziende reclamano maggiore attenzione. In questi primi giorni di febbraio si stanno dando le carte per una partita molto importante, quella che vede contrapposte due ipotetiche squadre di giocatori. Quelli che hanno capito quali sono i pericoli di una recessione è quanti pensano che il tutto sia nella normalità, cioè faccia parte di una forma di naturale alternanza tra periodi positivi e periodi negativi per il mondo. È proprio il caso di prendere atto che, come si diceva nella Roma imperiale, “libenter credimus quod volumus”. Detto dal Parroco del villaggio: “fa piacere credere ciò che fa comodo”. Fin che dura e fin quando non venga oltrepassato il punto di non ritorno.