Castellammare, democrazia e partecipazione: un binomio inscindibile

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Su iniziativa del gruppo “Parrocchie di Castellammare di Stabia” nell’ambito del progetto “Remare insieme”, presso la parrocchia del Carmine della città è stato invitato a tenere una conversazione Raffaele Sabato, magistrato oggi giudice italiano alla Corte di Strasburgo. Con una introduzione dell’arcivescovo di Castellammare-Sorrento, Francesco Alfano, la moderazione è stata assicurata da Regina Elefante, magistrato della Corte d’appello di Napoli.
La riflessione è stata articolato su più momenti.
Il primo momento ha riguardato, rispetto all’architettura della Costituzione entrata in vigore nel 1948, in cui i partiti erano istituzioni a base democratica interna chiamati ad “avvicinare” i cittadini alle istituzioni, il difficile periodo storico che stiamo attraversando, in cui – caduta la “forma” di partito tradizionale – sono subentrate formazioni politiche autoreferenziali e, nella società, correlativamente, sono emersi individualismo, sfiducia nelle istituzioni, senso di abbandono, infiltrazioni della malavita. Non solo in Italia, ma anche in Europa, le democrazie rappresentative sono in crisi ed i cittadini ormai non hanno fiducia neanche nello strumento elettorale. In argomento, il relatore ha segnalato che un recupero può solo avvenire attuando le forme partecipative la Costituzione e le leggi ancora prevedono, tra le quali la trasparenza amministrativa e l’accesso civico, le azioni collettive, ecc. Per quanto riguarda l’attività dei partiti (e dei sindacati), necessariamente si dovrà andare verso riforme adeguate, che tutelino la democrazia interna e ripensino l’accentramento circa la decisione in merito alle candidature; ciò che non potrà avvenire che con il tempo e programmi politici ambiziosi degli stessi operatori politici.
Si è poi cercato da parte del relatore di giustificare tali idee con basi scientifiche: i limiti e le insufficienze della democrazia tradizionale di tipo rappresentativo fanno emergere anche in sede teorica l’importanza della pluralità sociale come ricchezza, del dibattito costruttivo e “paritario” tra i cittadini, come contraltare all’assenteismo politico o alle contrapposizioni cristallizzate. Il relatore ha fatto riferimento a due noti teorici: John Rawls e Jürgen Habermas. Di quest’ultimo il relatore ha sottolineato quella che è una delle più importanti riflessioni sulla democrazia contemporanea:  il concetto di “democrazia deliberativa”. Habermas ci dice che  caratteristica della democrazia partecipativa è che società e istituzioni si incontrino “entro procedure negoziate così da produrre una oggettiva affermazione della legittimità di entrambe secondo un riconoscimento reciproco che supera la storica separatezza tra due entità già considerate come mondi a sé”. La sollecitazione allora è quella di colmare il deficit di partecipazione democratica a tutti i livelli attraverso la nuova valorizzazione dei “corpi intermedi”, già prevista dalla Costituzione italiana. Tuttavia, affinché la partecipazione ai processi decisionali pubblici sia effettiva è necessario soddisfare alcune (pre)condizioni fattuali e giuridiche. Nella democrazia partecipativa, il processo decisionale si configura, infatti, come processo comunicativo nel quale bisogna: (a) appianare le asimmetrie informative e (b) garantire la libera autodeterminazione dei partecipanti.
In questo quadro l’educazione alla cittadinanza, la mediazione culturale e l’“educazione o formazione alla partecipazione” consentono di superare o attenuare gli ostacoli alla partecipazione. L’iniziativa dei cittadini potrebbe imporre alla “vecchia” politica questo quadro di riferimento. Qualche formazione politica, in Italia e all’estero, di recente ha dichiarato di ispirarsi a questa visione, ma i risultati non si sono visti, essendosi messi in moto meccanismi di cooptazione.
Il dibattito si è chiuso paragonando la proposta con la dottrina sociale della chiesa, la quale – specie con Papa Francesco – va nello stesso senso per cui la partecipazione è un dovere da esercitare consapevolmente da parte di tutti, in modo responsabile e in vista del bene comune, in ambiti quali il mondo del lavoro e le attività economiche nelle loro dinamiche interne, l’informazione e la cultura e, in massimo grado, la vita sociale e politica fino ai livelli più alti.
Gli stessi criteri  si applicano per l’edificazione di una comunità internazionale solidale, ciò di cui – in tempo di guerre – è più che attuale l’esigenza.
Il dibattito si è chiuso, dunque, prendendo atto delle convergenze che fanno ben sperare.