Il caso Ciacci e quella legge contro l’omofobia sepolta in parlamento

In foto Giovanni Ciacci

Un uomo, Giovanni Ciacci, famoso stylist noto come Giò Giò, concorrente di “Ballando con le stelle”, il reality danzante di Rai Uno, che balla al fianco di un altro uomo, il ballerino Raimondo Todaro. La scelta, nuova rispetto al passato, di questa edizione di Ballando, di comporre una delle coppie in gara con due uomini, non ha mancato di suscitare curiosità e pure alcune critiche. Ma gli animi si scaldano quando uno dei giudici di “Ballando con le stelle”, Ivan Zazzaroni, non vota la coppia Ciacci-Todaro, perché considerata “fuori contesto”: “Non riesco a valutare, tant’è che forse non voto neanche”, ha dichiarato il giudice. Prima arriva la bordata di fischi dal pubblico, poi il tentativo della conduttrice Milly Carlucci di placare gli animi chiedendo spiegazioni a Zazzaroni. Dopo i fischi in diretta sono arrivate le reazioni sui social, che hanno subito twittato di omofobia, alla quale si è accodato anche il portavoce di Gay Center, Fabrizio Marrazzo, che ha parlato di “omofobia di bassa lega in televisione”. Picchiati, insultati, aggrediti spesso sotto gli occhi indifferenti dei passanti, si scrive omofobia e si legge come chiusura ai diritti e al riconoscimento sessuale della comunità lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali). Omofobia che si mescola al bullismo tra i più giovani, sfociando in violenze inaudite. Mentre l’Europa e gli Stati Uniti hanno fatto dei matrimoni omosessuali la loro apertura mentale, in Italia la legge sulle unioni civili, tarda a decollare, mentre la legge contro l’omofobia ancora si attende. Segno solo del ritardo della politica o più in generale di una cultura diffusa ancora impregnata di pregiudizi verso gay, lesbiche, bisessuali e transessuali? La risposta è amara, la discriminazione sociale è dura a morire, l’Italia è ancora un paese culturalmente omofobo. Il problema riguarda più il sud e la provincia italiana. Ci si divide così tra chi ha paura di dichiararsi alla società, per una mentalità pronta a tacciare e commentare, e tra chi invece ha paura di scontrarsi col problema dei diritti, delle leggi che ancora mancano. Le priorità sembrano due: una legge contro l’omofobia, dimenticata in Senato da quattro anni, dove è ancora ferma ed il riconoscimento reale ed effettivo delle unioni civili. Riforme bloccate e legate ancora ad un certo cattolicesimo che non apre gli occhi, non si rende conto e non accoglie. Ma esiste una comunità arcobaleno che indipendentemente dal sesso vive nella società e abbraccia tutte le aree sociali: famiglia, anziani, disabilità e con loro si affronta quotidianamente il lavoro sociale e la questione di genere. Con la comunità lgbt tutti noi abbiamo dovuto imparare a fare i conti col linguaggio che cambia: coming out: letteralmente, uscire fuori dall’armadio, dichiarando ciò che si è. Il primo passo è dichiararlo a se stessi ed accettarlo, ciò avviene con i propri tempi, e può avvenire in ogni momento della vita, in contesti e momenti differenti. Diversamente l’outing, che consiste nel rivelare l’orientamento sessuale, la propria identità di genere ad un’altra persona. Si tratta di dichiarazioni che comportano paure e forme di stress. La più diffusa è la “minority stress”, l’insieme di disagi psicologici causati da una condizione di minorazione stigmatizzata. Per cui si vivono tre dimensioni: omofobia interiorizzata: si interiorizza l’eteronormalità, vivendo male il proprio orientamento sessuale/identità di genere, sino al rifiutarlo; uno stigma percepito: cioè una percezione del rifiuto sociale. Più è la percezione e più sarà la vigilanza ed ricorso a strategie difensive; la terza dimensione riguarda l’esperienza vissuta, la violenza psicologica, fisica o verbale. Naturalmente molto dipende dal contesto, è necessario un radicale cambio di mentalità nelle nuove generazioni, nonché una rappresentazione meno banalizzante dei media.  Ma in un contesto di profondo cambiamento culturale che spinge a rivedere il nostro linguaggio e la nostra mentalità, il sociale continua a girare e la comunità lgbt continua ad evolversi, a maturare e ad invecchiare incontrando problematiche di salute, di sostegno sociale, sicurezza sociale, autosufficienza fisica e mentale. Incontrando questioni specifiche, dalla svalutazione dell’omosessualità nei luoghi per gli anziani. In molti casi si tratta di persone che spesso non hanno discendenti biologici che possono prendersi cura di loro, ciò ha delle ripercussioni psicologiche e ci si scontra anche con servizi ed istituzioni che ancora non sono pronte alla comunità arcobaleno e alle loro esigenze, a questo si aggiunge anche il contesto in cui sono cresciuti ed invecchiate: molte persone lgbt,  si sono dovuti scontrare con matrimoni eterosessuali, o con concezioni che legavano gli omosessuali ai malati di mente. Il tutto si amplifica in una società moderna sorda alle loro esigenze, seppur qualcosa sembra cambiare, infatti, da qualche anno sono nate delle co-housing per persone lgbt, ma ciò comporta ancora una volta, anche nell’ultima fase della vita: la vecchiaia, l’esclusione sociale, un distinguo che ancora una volta viene fatta seppur forse con più diplomazia. Allora la domanda di fondo è: saremo davvero un paese socialmente vero e arcobaleno, riconoscendo le diversità facendone una ricchezza?