Carcere e… villeggiatura: breve riflessione sull’effettiva portata rieducativa delle pene in Italia

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(Imagoeconomica)

L’articolo 27 della Costituzione contiene l’espressa statuizione secondo cui la pena non deve consistere in atti contrari al senso di umanità e, in ogni caso, deve prefiggersi il fine di rieducare il reo: in altre parole, è onere della Repubblica prodigarsi affinché il consociato, dopo aver commesso un illecito di natura penale, affronti un percorso teso a fargli comprendere il disvalore dell’azione compiuta e, contestualmente, a favorirne il reinserimento effettivo nella società.

Cionondimeno, il disposto costituzionale viene quasi sempre disatteso, anche perché chi di dovere, pur di non provvedere a garantirne il rispetto, adduce un migliaio di pretesti per raggirarlo: ci hanno, ormai, fracassato i timpani le tiritere del tipo «non c’è lavoro per gli onesti, figuriamoci per i delinquenti!», «non c’è speranza che un malavitoso cambi mentalità», ed altre frasette del cavolo che nulla hanno a che vedere con lo stato sociale di diritto.

La conseguenza principale di cotanto menefreghismo è lapalissianamente percettibile: complici anche le depenalizzazioni – nonché i frequentissimi sconti di pena -, gli autori di determinati crimina pensano di rimanere impuniti in perpetuo, oppure – pensando che, in fondo, stare al fresco…rappresenta un sollievo, perché ci si dà al dolce far nulla – vìolano apposta le leggi penali per assicurarsi un tetto gratis per un cospicuo lasso di tempo. Tanto, in un modo o nell’altro, è la collettività a rimetterci!

Di séguito si procederà ad alcuni esempi, aventi il fine di rendere meglio l’idea.

Chi bazzica per le strade di Napoli si sarà certamente avveduto che ivi circola si consuma ogni giorno una miriade di furti (perlopiù con strappo, comunemente detti «scippi»): orbene, il ladruncolo, anche allorquando vien sorpreso, ben sa che verrà solamente identificato per poi essere messo in libertà poche ore dopo o l’indomani; oppure, anche quando è già schedato, potrebbe farsi due conti in tasca e concludere che, alla fine, è meglio assicurarsi un tetto sulla testa (ossia, il carcere), oltre a vitto ed alloggio.

Un discorso simile vale per le rapine aventi ad oggetto motoveicoli ed effetti personali: la vittima (specie se minorenne), temendo per la propria incolumità, quasi sempre non reagisce, la qual cosa incentiva ancora di più il lestofante a delinquere. Tanto…la prima volta lo liberano, la seconda va in galera, la pena gli verrà scontata, e via discorrendo: presto sarà nuovamente fuori a fare il guappetiello professionista!

Ma passiamo all’analisi di contesti un tantino meno umili: ciascun Cittadino che lavora onestamente è, praticamente, obbligato ad aprire un conto bancario per ivi ricevere il più che sudato stipendio mensile; ma…ai piani alti delle banche si rendono sovente protagonisti di una vergognosa – oltreché illecita – mala gestiodel denaro della clientela, incoraggiata a compiere molteplici operazioni che, alla fine non fruttano un beneamato tubo (salvo pochissime eccezioni).

A lasciarci lo zampino sono, per l’appunto, taluni che fanno capo ai vertici degli istituti, ai quali – esattamente come ai ladruncoli ed ai rapinatori di cui agli esempi precedenti -conviene, tutto sommato, farsi qualche annetto in cella grazie alle attenuanti generiche di volta in volta concesse.

Ma…i soldi nostri che fine faranno? Semplice: scompariranno del tutto, cancellando in un attimo le rinunzie di una vita: inaccettabile!

E che dire in merito alla realtà assicurativa? I nostri Lettori sono al corrente che, in ossequio alle leggi vigenti in materia (dalla L. 990 del 24 dicembre 1969 sino al D. Lgs. n. 184 del 23 novembre 2023, che, in attuazione della Direttiva UE n. 2021/2118, ha esteso l’obbligo in questione agli automezzi fermi), qualsiasi veicolo a motore, per poter circolare, deve essere provvisto di polizza per la Responsabilità Civile Auto (RCA).

Orbene, Napoli – unitamente a diverse città italiane – è il teatro principale delle truffe assicurative, che vengono attuate in diversi modi: certificati rilasciati da medici compiacenti o – peggio – recanti il logo di strutture di pura fantasia, sinistri che coinvolgono vetture immatricolate mesi prima e giunte già incidentate, film luce continui sulle dinamiche degli incidenti, periti, e via dicendo.

Il bello è che questi emeriti delinquenti che gestiscono il «giro» si ostinano ad asserire, erroneamente, che la vittima dei loro loschi affari sia la compagnia assicurativa. Nulla di più sbagliato, atteso che il contratto d’assicurazione si basa su due pilastri fondamentali, costituiti da comunione dei rischi e mutualità: ogni assicurato, quindi, contribuisce (e non poco) a corrispondere gli indennizzi ai danneggiati e, al contempo, sopporta una frazione del rischio[1].

Esemplificando, questa gente lurida, oltre a commettere un reato, si dà inconsapevolmente la zappa sui piedi, perché, così facendo, i premi da corrispondere aumentano per tutti (le polizze, quindi, lievitano a più non posso)!

Ma anche in questo settore trovano terreno fertile le depenalizzazioni: poco carcere, niente rieducazione, fuorilegge che tornano subito in libertà…un circolo vizioso, praticamente!

Al termine di questa doverosa disamina, torniamo al tema dei percorsi che vengono fatti seguire a chi varca la soglia di una casa circondariale. Ops! C’è un errore: sarebbe più corretto affermare che non se ne scorge nemmeno l’ombra, perché nessuno ne assicura lo svolgimento in modo adeguato.

Eccezion fatta per pochissime realtà carcerarie – tra cui i penitenziari femminili di Pozzuoli e Santa Maria Capua Vetere -, a quasi nessun detenuto viene insegnato che, per ottenere successo nella vita, occorre lavorare instancabilmente; tra l’altro, anche il verbo greco ergàzomai (da cui deriva la parola «ergastolo») è da rendersi in italiano con «lavorare».

Non s’intende in alcun modo fare apologia dei lavori forzati di dostoevskjana memoria (se li si praticasse, si trascenderebbe in una disumanità contraria alla Costituzione ed alle norme di diritto internazionale), ma il proposito di chi scrive è quello d’incitare le Istituzioni ad agire affinché la vita «al fresco» non sia sinonimo di ozio, tenendo presente che…a pagare per i carcerati è sempre la collettività, inclusi i soggetti offesi dai reati che costoro han commesso.

È, quindi, molto attuale la nota canzone del compianto Otello Profazio, intitolata «Carcere e villeggiatura», il cui protagonista – per l’appunto, un detenuto – sostiene che, in fondo, andare dietro le sbarre può essere conveniente. Peccato, però, che a dover mettere mano alla tasca siamo e saremo sempre tutti noi, onesti lavoratori!

[1] Per ulteriori approfondimenti sul tema, si consulti F. SULIS – M. R. OLIVIERO, prefazione di M. ROSSETTI,Frode assicurativa e reati connessi. Manuale tecnico per gli operatori giuridici ed assicurativi, pp. XIII ss., Giappichelli (Torino), Ed. 2021.

Adriano J. Spagnuolo Vigorita

Riccardo Vizzino
Avvocato, responsabile nazionale di Civicrazia contro le truffe