Canova al Mann: un successo, e il merito è di Canova

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Canova al Mann. E ho detto tutto, direbbe un attore napoletano del tempo che fu. Non c’è che da entrare al Museo, guardare, cogliere il desiderio di rappresentare la purificazione delle imperfezioni dell’uomo tipica di Canova. Salone della Meridiana: la visitatrice dall’aspetto molto curato sembra ipnotizzata dalla statua di Ebe la coppiera degli dei, e come un intenditrice d’altissimo livello, sposta continuamente il proprio punto d’osservazione, inclina il volto con espressione pensierosa, ed esprime il proprio pensiero: ”questo è il naso che ho sempre voluto!“ O tempora o mores. Lasciando Cicerone e Catilina alla buona pace dell’eternità, non si può non osservare che l’espressione della signora, il commento è a piacere, indica un processo di autoidentificazione in atto che ha incollato la visitatrice davanti all’opera e magari l’osservazione dal naso si sarà estesa anche a tutto il resto della statua. Bingo. Se il risultato di un esposizione è suscitare l’interesse di chi la guarda, il risultato è stato centrato. Da Canova. L’artista il cui scopo era quello di far crescere nello spettatore un sentimento di ammirazione e di condivisione di qualcosa che, se pur sconosciuta, non può non avvertire. Piano terra e sala della meridiana, dal disegno, al bozzetto, incompiuto in quanto tale, fino all’esplosione di quell’idea di uomo che Canova rappresenta nelle sue composizioni. Uno ad uno. Dalla Russia con perfezione. Questo il grandissimo merito del direttore del Mann che fedele ai propri propositi è riuscito fin dall’inizio del suo incarico ad accendere un faro sul suo museo come mai nessuno de suoi predecessori aveva fatto. Onore al merito. Però se la visione del direttore Giulierini è ampia e capace di intercettare al momento giusto la richiesta del pubblico, meno aperta appare la visione degli allestitori il cui unico guizzo è stato quello di distinguere fisicamente il momento dell’ispirazione, del tentativo, da quello della piena realizzazione. Piano terra e piano primo. Come se il visitatore per cercare di cogliere passaggi potesse dare vita ad un saggio ginnico sportivo salendo e scendendo da un piano all’altro, appuntando e andando a verificare. Scelte. Però il pubblico avverte lo scollegamento e non coglie il senso di aver radunato non solo le opere finali ma anche le bozze, le idee. Certo, la tecnologia moderna e bilingue offre un ottimo supporto a chi desideri approfondire. È tutto li. Il desiderio di approfondire nasce proprio da una curiosità. La signora colpita dalla perfezione del naso di Ebe, avrebbe certamente colto la possibilità di guardare se esso fosse stato immaginato così perfetto dall’inizio (ulteriore materiale di discussione col chirurgo plastico da lei evocato) o se fosse stato migliorato. Riscendere al piano terra e poi risalire al primo piano e continuare la vista però richiede una certa disponibilità al movimento. E se anche “Le tre Grazie” avessero richiesto l’osservazione del bozzetto? Lo scopo dell’esposizione non può essere quello di organizzare un popolo d visitatori erranti nel corpo scale del Museo. Bellissimo anche quello. La lezione di Canova, il suo interpretare l’arte greca e poi romana avrebbe imposto anche un confronto più determinato con i modelli antichi da cui l’artista è partito introducendo dei correttivi, perfezionando quei modelli. Il senso della presenza di Canova ad un museo archeologico, tra presenze greche e romane era proprio questo: gli originali, il disegno, il bozzetto, l’opera finale che migliorava nella visione di Canova, i classici cui si era ispirato. A volte l’interpretazione è servita su un piatto d’argento e non si comprende perché non approfittarne.