Caccia al valore – Nuove aliquote sui capital gains, cosa fare?

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Il giorno 1 luglio 2014 è entrata in vigore la nuova normativa (D.L. 66/2014) che regola la tassazione sulle rendite finanziarie per le persone fisiche. L’aliquota sui capital gains,attualmente pari al Il giorno 1 luglio 2014 è entrata in vigore la nuova normativa (D.L. 66/2014) che regola la tassazione sulle rendite finanziarie per le persone fisiche. L’aliquota sui capital gains,attualmente pari al 20%, viene elevata al 26% per tutti gli strumenti finanziari, fatta eccezione per i titoli di Stato italiani, i titoli pubblici territoriali (Regioni, Province e Comuni) e di Paesi in white list, per i quali rimane immutata al 12,5%. Molti risparmiatori, in assenza di chiare informazioni fornite dai propri intermediari, lo scorso 30 giugno, ultimo giorno di applicazione del vecchio regime fiscale, hanno venduto i titoli con plusvalenze pregresse all’interno dei propri portafogli temendo che, successivamente, gli sarebbe stata applicata la nuova aliquota del 26%. In realtà il nostro legislatore ha previsto un meccanismo, detto dell’affrancamento fiscale, con il quale, al fine di gestire in modo efficace il passaggio dalla vecchia alla nuova tassazione, si valorizza l’intero portafoglio titoli ai prezzi di chiusura del 30 giugno e, senza procedere ad alcuna vendita, si calcolano le imposte maturate sulle plusvalenze applicando l’aliquota del 20%; il nuovo regime fiscale, in tal modo, colpirà solo gli utili che saranno realizzati dal 1 luglio 2014. Sono esclusi dal processo di affrancamento i fondi comuni d’investimento italiani ed esteri (SICAV) non quotati su mercati regolamentati, gli ETF e i fondi mobiliari e immobiliari quotati sui mercati regolamentati. L’adesione alla suddetta procedura va comunicata al proprio intermediario entro il prossimo 30 settembre e la relativa imposta deve essere versata entro il 16 novembre; l’opzione può essere esercitata per singolo deposito titoli (e non per singoli titoli all’interno dello stesso portafoglio) e i contribuenti hanno la possibilità di affrancare sia le minusvalenze che le plusvalenze avvalendosi dell’imposta sostitutiva del 20%.  Da quanto appena descritto, sembrerebbe scontata la convenienza del ricorso all’affrancamento fiscale per qualsiasi risparmiatore; tuttavia in alcuni casi è opportuno rinunciare a tale beneficio. Più in particolare, chi dovesse avere un portafoglio composto prevalentemente da obbligazioni societarie  acquistate non di recente e con prezzi di mercato attuali superiori al valore nominale (100), farebbe bene a non richiedere l’affrancamento fiscale. Facciamo un esempio teorico per meglio comprendere quanto appena affermato: il signor X ha acquistato nel gennaio 2012 al prezzo di 100 un titolo obbligazionario Enel con scadenza gennaio 2017 e cedola annua del 5%; il prezzo del titolo al 30 giugno 2014 è di 110 e il signor X ha intenzione di detenere il titolo fino alla scadenza, quando sarà rimborsato al valore nominale (100). Qualora il signor X optasse per l’affrancamento fiscale, pagherebbe un’imposta del 20% sul guadagno realizzato dal giorno dell’acquisto al 30 giugno 2014 (la differenza tra il prezzo di mercato di 110 e il prezzo di acquisto di 100); poi, decidendo di portare il titolo a scadenza, incasserebbe nel gennaio 2017 il controvalore corrispondente al prezzo di rimborso di 100. Nel caso in cui invece il signor X non decidesse di “affrancare” il suo portafoglio, vendendo il titolo nel gennaio 2017 allo stesso prezzo al quale era stato acquistato (100), non sarebbe soggetto ad alcuna tassazione per cui, in riferimento al caso precedente, avrebbe di fatto pagato un’imposta non dovuta. Da questo semplice esempio si comprende l’importanza del ruolo degli intermediari finanziari (Banche, SIM e SGR) i quali, in questa circostanza, hanno il delicato compito di indirizzare la propria clientela verso una scelta dalla quale possono scaturire impatti economici non indifferenti.