La solidità patrimoniale di un istituto bancario dipende essenzialmente dalla politica del credito, dalla qualità dell’attivo patrimoniale e dalla leva finanziaria (rapporto tra attivo e patrimonio netto). L’Autorità di vigilanza della Banca Centrale Europea (EBA) La solidità patrimoniale di un istituto bancario dipende essenzialmente dalla politica del credito, dalla qualità dell’attivo patrimoniale e dalla leva finanziaria (rapporto tra attivo e patrimonio netto). L’Autorità di vigilanza della Banca Centrale Europea (EBA) ha recentemente sottoposto a una severa analisi i bilanci di 131 istituti di credito europei, analizzando la qualità degli attivi patrimoniali al 31 dicembre 2013 e verificando l’impatto sui conti di un’ipotetica improvvisa e perdurante crisi economica. Le banche italiane, in seguito alla crisi dei debiti sovrani del 2011, hanno progressivamente aumentato l’esposizione verso i titoli di Stato che oggi rappresentano circa il 15% dell’attivo; i prodotti derivati rappresentano una componente del tutto irrisoria all’interno dei bilanci e l’indicatore di leva finanziaria in media è pari a 15. Analizzando le banche tedesche, i prodotti derivati rappresentano mediamente il 27% dell’attivo, i titoli pubblici hanno un peso inferiore rispetto alle banche italiane e, infine, la leva finanziaria è pari a circa 25. A titolo di esempio, Deutshe Bank ha una leva addirittura pari a 36 in quanto impiega risorse per circa 1.700 miliardi di euro (una cifra superiore al PIL italiano) disponendo di un patrimonio netto di 47 miliardi di euro. Una svalutazione dell’attivo del 2,7%, dunque, sarebbe sufficiente ad azzerare il patrimonio della prima banca tedesca. I criteri contabili adottati da dagli ispettori dell’EBA per analizzare gli attivi degli istituti di credito europei sono stati a mio parere selezionati in funzione del peso politico esercitato nei confronti della BCE dal governo tedesco e dalla Bundesbank. Sono stati infatti sottoposti a verifica gli “attivi creditizi” e non gli “attivi di mercato”: tradotto in parole semplici, i crediti erogati alle imprese hanno subito una severa riclassificazione mentre i titoli derivati non sono stati oggetto di alcuna rettifica in quanto si è reputato che, essendo di fatto impossibile valutare su basi omogenee le minusvalenze potenziali di questi strumenti complessi, si è deciso validare i modelli interni degli istituti di credito. Le banche tedesche e francesi, piene di prodotti derivati nei loro bilanci, hanno dunque superato l’esame senza difficoltà pur facendo ricorso a quelle politiche di finanza speculativa che hanno fatto esplodere la crisi finanziaria del 2008, culminata con il fallimento del colosso americano Lehman Brothers. Paradosso nel paradosso, le Landsbank (banche regionali tedesche), le cui caratteristiche principali sono la scarsissima dotazione di capitale e il forte ricorso ad attività di trading finanziario con strumenti derivati, non sono di fatto state sottoposte all’esame degli stress test: su tutte vale l’esempio della Hsh Nordbank la quale, a fronte di un attivo patrimoniale di 110 miliardi di euro e un patrimonio netto di 3,3 miliardi, ha subito le verifiche solo sulla componente “non finanziaria” di bilancio (38 miliardi) pari ad appena il 34% dell’attivo; i residui 72 miliardi, rappresentati da derivati, prodotti strutturati e altri strumenti finanziari, non sono stati oggetto di analisi da parte dell’EBA. Venendo alle banche italiane, l’asset quality review, ovvero la verifica di qualità degli attivi patrimoniali, ha sortito esito positivo per tutti i quindici istituti oggetto di analisi. Quanto agli stress test, Banca Monte dei Paschi di Siena e Carige non hanno superato la simulazione nell’ipotesi di scenario economico avverso, mostrando un deficit patrimoniale rispettivamente di 2,1 miliardi e 814 milioni di euro. Il grado di leva finanziaria decisamente inferiore alla media europea e l’esiguo ricorso ai titoli derivati è stato paradossalmente il tallone d’Achille delle banche italiane sottoposte alle “mirate” analisi degli ispettori dell’EBA. Al danno si è aggiunta la beffa: la bocciatura delle due banche italiane ha scatenato una feroce speculazione in borsa tanto che, nell’arco di quattro sedute (dal 27 al 30 ottobre), BMPS e Banca Carige hanno perso circa un terzo della loro capitalizzazione. Limitando l’analisi all’istituto di Rocca Salimbeni, oggi la banca senese capitalizza in borsa appena 3,5 miliardi di euro a fronte di un patrimonio netto tangibile di 10,1 miliardi certificato dalle autorità di vigilanza dell’EBA grazie al superamento dell’asset quality review. Nella convinzione che il titolo BMPS tornerà presto a quotare valori razionali (il valore per azione corrispondente al patrimonio netto tangibile è pari a 2 euro), auspico che i gestori e gli investitori italiani non cadano più nella trappola della speculazione e che il nostro Paese torni a ricoprire quanto prima un ruolo politico di primo piano all’interno dell’Unione Europea.