Buon governo, tra il dire e fare ci siamo di mezzo noi

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Si possono risolvere i problemi di desertificazione industriale, scollamento sociale, disaffezione giovanile, disoccupazione montante, ricchezza calante, burocrazia urticante, credito diffidente, criminalità dilagante, incerta direzionalità con gli strumenti oggi a disposizione di chi potrebbe o dovrebbe usarli?

Possono, cioè, la buona volontà, la competenza, la perseveranza servire a combattere i mali del Mezzogiorno (che sono quelli del Paese di parecchio amplificati) con la speranza non vana di riuscire a vincerli? Serve ancora analizzare, spiegare, confrontare, studiare, approfondire, sollecitare?

La teoria degli errori compiuti da chi gestisce pezzi più o meno grandi di potere è nota a tutti. E tutti sanno riconoscere che non si può più sbagliare, che siamo all’ultima spiaggia (ma quante ultime spiagge esistono al mondo?), che siamo sull’orlo dell’ennesimo baratro e pronti a caderci dentro.

Una maledizione s’impossessa di chiunque vada a ricoprire un incarico importante: pieni di buone idee e delle migliori intenzioni, una volta nella stanza dei bottoni ci si accorge che a schiacciarli non succede niente. Subentra lo sconforto salvo a ritrovare fiducia e fantasia una volta usciti di scena.

È fin troppo evidente che la scala delle difficoltà con cui ci si deve misurare è regolarmente più alta di quanto avessimo immaginato; quello che da osservatori ci appare possibile e auspicabile diventa impossibile o poco raccomandabile quando ci si trova a tu per tu con l’impegno da assolvere.

Accade dovunque e a ogni livello: al Nord come al Sud, dal piccolo comune al governo nazionale. La forza che più di ogni altra fiacca la volontà di agire è quella che si forma con l’attrito e provoca resistenza. Negare l’evidenza, puntare i piedi, difendere i privilegi diventano occupazioni letali allo sviluppo.

In queste condizioni è davvero difficile cambiare. Lo tsunami che per comodità chiamiamo crisi ha reso improponibile una lunga serie di abitudini e convenienze intorno alle quali abbiamo organizzato la nostra vita nella convinzione o nella speranza che ne avessimo pieno diritto.

Rendersi conto che le cose non torneranno più come prima (non, almeno, nei prossimi anni), modificare di conseguenza l’atteggiamento mentale, rimboccarsi le maniche e tornare a darsi da fare abbondonando la piacevolezza del dire sono esercizi che dovremmo praticare tutti se teniamo a costruirci un futuro.

Diamo una chance a chi si assume la responsabilità di gestire la cosa pubblica, il mestiere più difficile e infame che esista quando si decide di esercitarlo con lealtà e dedizione. La corruzione nasce anche tra le pieghe dei nonsipuò. Ed è vantaggio di pochi che abbia il sopravvento sul buon governo.