Bullismo, a Torino una sentenza esemplare contro due giovani

625

Veleni in rete, tensioni a scuola. Si moltiplicano i casi innescati dall’uso improprio dei social. Insulti online mentre in aula si finisce per litigare. L’ “altra scuola” corre veloce sui social network e si porta dietro un mare di veleni. Volano insulti, calunnie, minacce, frasi pesanti che mettono in difficoltà i ragazzi presi di mira, che spesso si ritrovano isolati. Perché il tutto è letto da tutti e le repliche sono spesso più velenose. Studenti denigrati e fotografie rubate: whatsapp semina discordia. Si chiama bullismo, si legge guerra feroce ai coetanei. Il fenomeno è in costante aumento soprattutto alle medie. Se ne parla nei consigli di istituto. I docenti, in classe, devono fare i conti con le liti innescate dagli insulti sulla rete. I docenti sono preoccupati, i ragazzi subiscono di nascosto. Soffrono in silenzio. Escalation di rabbia, parolacce, che spesso sottintendono una chiara, inequivocabile forma di cyberbullisimo. Un mondo parallelo nella quale gli adolescenti si infilano ma che rischia di inquinare: perché il passo dalle frasi digitali a quelle delle aule scolastiche è poco. “Nessuno mi ha aiutato”, “pensavano solo a filmare la scena”, racconta così la sua storia una quindicenne del siracusano vittima di bullismo. Picchiata davanti a tutti, senza che nessuno intervenisse. Una spedizione punitiva organizzata da due ragazzine di quindici e diciassette anni. Adolescenti come lei. Il movente sarebbe la gelosia che le due provavano per un ragazzo, fidanzato della quindicenne. L’incubo dura un mese: minacce telefoniche, danneggiamento della minicar con cui la quindicenne andava a scuola. Trova il coraggio, ne parla in famiglia, ma la situazione peggiora: viene aggredita anche la madre. Lesioni personali aggravate anche dalla premeditazione: l’accusa nei confronti
delle due ragazze. Bulli incattiviti, spinti dalla gelosia, dalla violenza, forti anche di un sistema giuridico carente in materia come forti del timore e della paura di chi subisce, di chi tace, di chi si chiude in se stesso ed in casa, perché impaurito e privo di ogni tutela. Aumentano le denunce ma le pene sono quasi inesistenti o tardano ad arrivare, ma un monito con una pena esemplare, che apre uno spiraglio verso un mondo di giustizia e di pena arriva da Torino. Diciannove mesi di inferno. Tra vessazioni, violenze inaudite, molestie e persecuzioni. Gli aguzzini, un ex compagno di classe e un altro che frequentava il suo stesso istituto tecnico torinese, sono stati condannati ad 8 anni e sei mesi di carcere. Il pubblico ministero ne aveva chiesti otto. La vittima, ancora scossa, sta decidendo cosa fare della sua vita, se tornare a scuola e terminare gli studi interrotti dopo l’ultimo episodio di bullismo, oppure rimanere vittima del dramma vissuto tra il febbraio 2013 e settembre 2014. Lo hanno perseguitato, violentato con un ombrello nella sua stanzetta: costretto ad ingoiare escrementi di cane, bere litri di vino e persino consumare un rapporto sessuale con una prostituta sotto i loro occhi, per dimostrare loro di non essere gay. All’epoca dei fatti lui, la vittima, era ancora minorenne, mentre, i suoi aguzzini da poco maggiorenni. Incensurati e prepotenti. Sui loro profili foto da spacconi, immortalati in pose da duri. Ha subito per mesi,
chiudendosi in un rigoroso silenzio, schiacciato dalla paura e dalla mortificazione, fin quando non ne parla con la mamma di un suo compagno di scuola, che poi ha riferito tutto ai suoi genitori. Una condanna esemplare con una punizione vera e dura. Ai due bulli, accusati di stalking, lesioni e violenza sessuale aggravata, sono state comminate anche pene accessorie, tra cui l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e il divieto di esercitare qualsiasi attività pubblica all’interno delle scuole. Alla vittima andranno 10 mila euro come risarcimento. La vicenda sembra che continuerà ed ancora nelle aule di Tribunale, perché il legale dei due bulli farà ricorso in
Appello, ma resta una vittima segnata, incupita, mortificata, che appena ha ricevuto la convocazione dell’inizio del processo è scappato di casa, ritrovato grazie al programma “Chi l’ha visto?”, ricoverato in un reparto di psichiatria del Nord Italia, oggi vuole ricominciare da quel buco nero che lo ha inghiottito: la scuola, per provare a riscrivere un’altra storia della sua vita. A riscrivere un’altra storia forse dovrebbe essere anche il legislatore che deve, forse, fare una profonda riflessione sulla procedibilità del reato quando questo è a carico anche di minorenni infraquattordicenni, vista la cronaca di persecuzione che trova sul suo cammino molte giovani vittime e spavaldi bulli spesso impuniti.