Quello di domani potrebbe essere un giorno storico per l’Unione Europea. E’ infatti il giorno del referendum inglese sulla Brexit: milioni di cittadini britannici dovranno decidere se uscire dall’Unione europea o rimanerci. Il termine Brexit indica appunto l’argomento in discussione essendo la crasi delle parole “Britain” ed “Exit” (uscita).
Il quesito
I britannici si troveranno sulla scheda il seguente quesito “Should the United Kingdom remain a member of the European Union or leave the European Union?” (“Il Regno Unito deve rimanere un membro dell’Unione europea o deve abbandonare l’Ue?”). Barrando la casella con la risposta “Remain a member of the European Union” sceglieranno di restare nell’Ue. Barrando quella con la scritta “Leave the European Union” sceglieranno di lasciarla.
Il voto
Si vota in 382 circoscrizioni: 326 in Inghilterra, 32 in Scozia, 22 in Galles, una in Irlanda del Nord e una a Gibilterra. Le urne sono aperte dalle 7 alle 22 (8-23, ora italiana) di giovedì 23 giugno. Hanno diritto di esprimere il loro parere, dopo essersi registrati nelle liste elettorali, circa 50 milioni di cittadini maggiorenni britannici, irlandesi e del Commonwealth che vivono nel Regno Unito e quelli residenti a Gibilterra, oltre a coloro che sono espatriati dal Paese da non più di 15 anni. Esclusi i cittadini dei Paesi Ue residenti in Gran Bretagna, che votano alle elezioni europee e amministrative. Il referendum è di tipo consultivo e non serve un quorum per renderlo valido.
I risultati
I risultati arriveranno presumibilmente dopo le 4 (5 italiane) di venerdì. I verdetto definitivo dovrebbe essere annunciato dopo le 7 (8 italiane) dalla presidente della commissione elettorale, Jenny Watson, alla Manchester Town Hall. Non ci sarano exit poll.
Come nasce il referendum
L’idea del referendum nasce durante la campagna elettorale del premier David Cameron che nel 2015 promise la consultazione se fosse stato rieletto. Il primo ministro britannico che era favorevole all’uscita dall’Unione Europea, spinto anche da diversi membri del suo partito (conservatore) e dei nazionalisti dell’Ukip, a febbraio si è detto soddisfatto delle concessioni ottenute dall’Ue ed è diventato il principale sostenitore del “Remain”.
Le ragioni del “Remain”
Per il fronte del “Remain” il Paese corre molti rischi con la Brexit. Posti di lavoro, commercio, crescita economica, sicurezza: sono tutti aspetti che, sostengono, traggono vantaggio dalla permanenza nell’Ue. Il premier Cameron ha dichiarato che l’uscita sarebbe disastrosa per il Regno Unito e metterebbe a rischio sanità, pensioni, difesa e sterlina. Contro la Brexit oltre al Premier ci sono 16 ministri del suo esecutivo, il cancelliere dello Scacchiere George Osborne, alcuni membri del partito conservatore (che ha lasciato libertà di scelta ai suoi elettori), la maggior parte del partito laburista, lo Scottish national party, i LibDem e i Verdi. Con loro anche tanti leader internazionali come Angela Merkel, Francois Hollande, Barack Obama nonché il premier italiano Matteo Renzi.
Le ragioni del “Leave”
Per i fautori dell’uscita dall’Ue, l’Europa impone troppe norme, soprattutto a livello commerciale e di affari, e frena lo sviluppo del Regno Unito. Recuperare pezzi di sovranità significherebbe per loro avere più libertà nella scrittura delle leggi, poter gestire liberamente l’immigrazione e frenare la libera circolazione per impedire che troppe persone (anche della stessa Ue) arrivino nel Paese. Il fronte del “Leave” è guidato da un conservatore, l’ex sindaco di Londra Boris Johnson. Con lui ci sono anche Michael Gove, ministro della Giustizia, altri 4 membri del governo Cameron, alcuni esponenti dei Tory e alcuni deputati laburisti. Tra i partiti a favore della Brexit ci sono piccole formazioni radicali e, soprattutto, l’Ukip di Nigel Farage.
Se il referendum sancisce l’uscita dall’Ue
Il referendum è consultivo e dunque il suo risultato non è vincolante. Il Parlamento britannico, dunque, potrebbe anche decidere di non uscire dall’Ue. Una eventualità, questa, che però è molto difficile perché sarebbe vista come una sorta di tradimento della volontà popolare. In caso di vittoria del “Leave”, il premier Cameron potrebbe anche decidere di dimettersi, avendo sostenuto il fronte europeista. La passa comunque passerà al Parlamento che ratificherà la decisione e inizierà la procedura d’uscita. Nei due anni successivi di negoziati il Regno Unito continuerà a far parte dell’Ue potendo anche votare e prendere decisioni, ma sarà escluso dalle riunioni sulla Brexit.
I prossimi incontri
E’ già fissato per venerdì 24 un incontro a Bruxelles tra i presidenti della Commissione, Jean-Claude Juncker, del Consiglio europeo, Donald Tusk, del Parlamento europeo, Martin Schulz, e con il premier olandese Mark Rutte (presidenza di turno del Consiglio dell’Ue). Già previsti una sessione plenaria straordinaria del Parlamento europeo e, il 28 e 29 giugno, un vertice dei capi di Stato e di governo. In quest’occasione il premier inglese Cameron potrebbe chiedere al Consiglio europeo l’attivazione dell’articolo 50: in questo caso scatterebbe il conto alla rovescia dei due anni massimi previsti per negoziare l’uscita.
Il negoziato
Il negoziato per l’uscita del Regno Unito attivato con l’articolo 50 verrà probabilmente gestito dalla Commissione Ue su mandato del Consiglio a cui spetterebbe, insieme al Parlamento Ue, l’ultima parola sull’accordo. Scaduti i due anni di negoziato senza un’intesa due sarebbero le strade: o il Regno Unito cesserebbe di colpo di essere membro oppurre potrebbe ottenere, con la decisione unanime degli altri Stati, più tempo per chiudere. Uno dei principali problemi da affrontare, con la Brexit, sarebbe la riscrittura dei trattati che regolano i rapporti tra Regno Unito e il resto dell’Unione.
Gli effetti economici
Difficile prevedere gli effetti economici della Brexit. Al di là delle turbolenze dei mercati, molte delle conseguenze, anche sui risparmiatori, dipenderebbero dal comportamento delle banche centrali. Tra gli scenari possibili c’è il crollo della sterlina e un rialzo dei tassi a catena, mutui e prestiti più cari anche in Ue, spread in salita, recessione. Si potrebbe registrare, se i trattati fossero molto punitivi, una diminuzione delle esportazioni nel Regno Unito: un danno anche per l’Italia, che è tra i principali partner commerciali del Paese.