Adolfo Bottazzo (Yma): Il Governo sposa l’opzione green? Bene, ma ora si passi dalle parole ai fatti

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in foto Adolfo Bottazzo, vice presidente di Confindustria Caserta con delega al Territorio e alla Economia circolare

“Ho l’ambizione di delineare la società in cui vogliamo vivere non solo noi stessi, ma che vogliamo consegnare ai nostri figli e nipoti…”. E’ con un endorsment dagli evidenti risvolti ambientalisti che si apre il discorso per la fiducia alla Camera del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, accordata alla fine di una seduta non priva di accese polemiche. Ma a chi si occupa di economia sostenibile interessa soprattutto che il presidente del Consiglio abbia ribadito senza mezzi termini la necessità di un Green New Deal per l’Italia, già manifestata nelle linee di programma. A Montecitorio, in realtà, Conte è stato ancora più determinato, sostenendo la necessità di affermare un radicale cambio di paradigma culturale “inserendo la protezione dell’ambiente tra i principi fondamentali del nostro sistema costituzionale”. Una novità molto apprezzabile secondo Adolfo Bottazzo, amministratore unico e direttore generale di Yma, azienda agroalimentare campana. Manager esperto di economia circolare, come vice presidente dell’Unione industriali di Caserta detiene anche quella per il Territorio.

Dottor Bottazzo, la convince questa assunzione così marcata della priorità ambientale nei propositi della compagine di governo?
Mi ha colpito positivamente leggere in quella nota programmatica che tutti i piani di investimento pubblico dovranno avere al centro la protezione dell’ambiente, il ricorso alle fonti rinnovabili, la protezione della biodiversità e dei mari, il contrasto dei cambiamenti climatici. E trovo ancor più confortante l’idea di trasformare la priorità ambientale in un principio sancito in Costituzione.

Per fare ciò occorre anzitutto adottare misure che incentivino prassi responsabili anche da parte delle imprese, non crede?
Occorre, come sostiene il governo, promuovere anzitutto lo sviluppo tecnologico e le ricerche più innovative in modo da rendere quanto più efficace la “transizione ecologica” e indirizzare l’intero sistema produttivo verso un’economia circolare. Ora bisogna far seguire i fatti alle parole.

Si parla sempre più di frequente di economia del riuso. Lei che è un esperto di questi temi, perché va ritenuta una opzione strategica?

L’economia circolare si basa essenzialmente su un indirizzo di pensiero per il quale i cicli produttivi devono funzionare alla pari di organismi viventi: Cosa accade con le strutture animali e vegetali? Le sostanze nutrienti sono continuamente elaborate e utilizzate. E soprattutto reimmesse nel ciclo biologico. L’emergenza climatica ci impone di operare d’ora in poi con un approccio analogo anche nel ciclo industriale, dove deve prevalere la funzione rigenerativa spinta alle estreme conseguenze.

Quali?

Tener conto dei componenti di un prodotto come funzionanti, appunto, come organismi viventi. Essi vanno progettati col presupposto di adattarsi all’interno di un ciclo dei materiali, concepito per lo smontaggio e ri-proposizione, per essere infine utilizzati di nuovo, possibilmente con un dispendio di energia minimo.

L’altro pilastro della sostenibilità, oltre alla mobilità elettrica, è l’energia ottenuta da fonti rinnovabili, non è così?

Anche qui è cruciale il richiamo agli esseri viventi e quindi all’energia generata dalle fonti naturali, prima tra tutte l’energia solare. Solo a queste condizioni riusciremo a conservare l’ecosistema e consegnare, come ha detto il primo ministro Conte, ai figli e nipoti un pianeta integro.

Tutto passa per il contenimento dei cambiamenti climatici?

Senza dubbio. Intanto perché è sempre più diffusa, anche nel mondo capitalistico, la convinzione che il Climate Change non è uno slogan. Ma prescindendo dall’allarme climatico, anche chi non fosse preoccupato oggi non può negare che il benessere dell’umanità dipende dalla capacità di mettere sotto controllo i fattori di inquinamento.

Intanto c’è chi pensa di ricorrere alle materie prime dell’Artico…

La corsa al Polo Nord è tutt’altro che un gioco. Gli idrocarburi “a disposizione” sotto la calotta di ghiaccio sono la mira esplicita non solo del presidente Usa. Anche altre potenze sembrano convinte che il cambiamento climatico stravolgerà, entro qualche decennio, il paesaggio artico, rendendo le sue acque facilmente navigabili e i suoi prati verdi. E i suoi idrocarburi a portata di trivelle.

L’ambiente compare nei punti programmatici di qualsiasi campagna elettorale, accanto alla giustizia la scuola, l’istruzione. Ma è serio il rischio che la Conferenza di Parigi del 2015, il celeberrimo COP21, finisca in un modesto bilancio più o meno come il protocollo di Kyoto del 1997. Non è così?
Nel mondo odierno si stima che 600 metropoli generano da sole il 60 per cento del PIL mondiale. Ed entro il 2030 vivrà nelle città il 60% della popolazione mondiale. Nel 2050 saremo oltre 9 miliardi, l’80% insediati nei centri urbani. Se non mettiamo mano al modo di costruire e funzionare delle metropoli, non ne usciremo vivi. Lo dico fuori dai denti. Chi pensa di eludere il problema comprandosi la Groenlandia ha il fiato corto.

Per cambiare passo c’è bisogno di una diffusa e radicata opera di rieducazione che rivoluzioni i nostri stili di vita, non le pare?

Sì ma il tema non riguarda solo il mondo occidentale o avanzato, ma ormai sempre più nazioni e popoli del mondo. Con la globalizzazione dei mercati è accaduto da alcuni decenni che le produzioni tendono a delocalizzarsi verso i Paesi a più basso costo del lavoro. Ciò ha generato la tendenziale convergenza delle economie di Paesi poveri ed emergenti con quelli industrializzati. Tant’è che i primi cominciano a crescere a tassi superiori a quelli ad alto reddito dell’area occidentale.

Ne consegue che la domanda di energia è destinata a crescere, non è così?

Si calcola che nel mondo ci siano ancora 1 miliardo e mezzo di persone che ad oggi non sono servite da forniture di energia elettrica. Non solo. Un altro miliardo accede all’energia elettrica in modo discontinuo e precario a causa delle reti di fornitura che non sono né stabili né sicure. Insomma, ad oggi 3 persone su 10 sul pianeta non hanno possibilità di fruizione degli standard minimi di accesso all’energia. Non possiamo certo negare a un terzo del mondo il diritto al progresso ed al benessere.

Quindi non c’è altra prospettiva che lo sviluppo sostenibile?

Non solo. Direi che in futuro saremo chiamati sempre più, con il supporto della ricerca e le innovazioni tecnologiche, a ridurre gli sprechi invece che deprimere i consumi. La sfida del futuro è questa.