Benvenuti al Sud

72

L’occasione per aggiustare il tiro e spiegare meglio la proposta di un “movimento civile che porti alla nascita di un partito meridionalista non indipendentista che rivendichi con forza il rispetto dei principi di libertà e di equità del contratto sociale che ci lega all’Italia e all’Europa” l’economista Paolo Savona l’ha avuta a Napoli nel corso di un seminario sul ruolo della Bei per la crescita del Paese e del Mezzogiorno.

E, poi, dalle colonne del Mattino indica sei punti di attacco che vanno dalla creazione di un centro di formazione/informazione per i lavoratori meridionali all’avvio di un piano per infrastrutture materiali e immateriali, dalla fiscalità di vantaggio per le imprese del Sud alla costituzione di una centrale di controllo dell’attività creditizia, dalla promozione di iniziative per l’estero all’incentivazione di innovazioni tecnologiche e organizzative.
Senza aver bisogno di modificare nulla della sua dichiarazione d’intenti, Savona specifica che l’accento va posto sul movimento e non sul partito che resta un obiettivo eventuale e lontano. Non di un partito meridionalista bisogna parlare, dunque, ma di un movimento di opinione e di azione in grado di sollecitare l’attenzione e alimentare i programmi dei partiti attuali.

Fatta la premessa, il bisogno di costruire qualcosa che sia in grado di restituire voce a chi non ne ha – e resta schiacciato dal mix micidiale fatto di vincoli di bilancio, credito scarso, scadente dotazione d’infrastrutture materiali e immateriali, scomparsa della produzione e dei posti di lavoro – è condiviso dalla gran parte degli osservatori.
L’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, per esempio, ammette di concordare con l’analisi di Savona sulle responsabilità dell’Europa nei confronti del Sud e invita alla costruzione di una nuova progettualità rivolta a “rinsaldare l’unità nazionale”. “Il Mezzogiorno – afferma – si salva avvicinandosi al resto del mondo e non allontanandosi da dove si prendono le decisioni”.

Di “grandi progetti per la nazione” parla anche il politologo Isaia Sales che rifiuta l’ipotesi di un partito territoriale (peraltro mai avanzata) ricordando che “l’interdipendenza nell’economia italiana è tale che se una parte arretra non è l’altra che se ne avvantaggia ma entrambe si ridimensionano, vanno giù e possono perfino crollare”.
Gianfranco Viesti, economista e già presidente della Fiera del Levante, appare sulla stessa lunghezza d’onda quando si ribella all’abitudine di considerare il Sud come “il capro espiatorio ideale: colpevole, sprecone, corrotto e quindi da sottoporre a una salutare cura dimagrante”.

Il presidente della Svimez Adriano Giannola insiste sulla necessità di eliminare il dualismo economico che condanna il Paese all’arretratezza e si ribella, al pari di Viesti, alla convinzione che il Mezzogiorno sia da mettere in quarantena. Il partito del Sud, il movimento per meglio dire, “nascerebbe per legittima difesa”.
Un movimento “meridionalista e non meridionale che sia in grado di difendere le ragioni del Mezzogiorno” è visto con simpatia anche da Giorgio La Malfa, accademico con lunga esperienza politica, che constata come il baricentro del Paese si sia da lungo tempo spostato al Nord: “Basta elencare i nomi del presidenti del Consiglio e dei ministri dell’Economia negli ultimi vent’anni”.

Gli fa eco il filosofo Massimo Adinolfi che invoca “un nuovo meridionalismo, una convinta rappresentazione degli interessi del Mezzogiorno”. “Il Sud – insiste – non deve essere punito per sue colpe passate o recenti e non deve nemmeno punirsi da solo accettando di essere relegato in una posizione di subalternità”.
“Un movimento e non un partito – specifica l’economista Massimo Lo Cicero – sarebbe la soluzione adatta per due motivi molto robusti: non complicare ulteriormente un confuso e ridondante quadro politico nazionale e offrire una sponda a coloro che vogliano davvero ricostruire fiducia e cooperazione nel Mezzogiorno”.

Che cosa aggiungere a tutte queste considerazioni? Che il momento sembra propizio a una convinta ripresa della discussione intorno al ruolo e al destino di una parte del Paese della quale si è avuta la tentazione di poter fare a meno per meglio competere e figurare in Europa. Dopo un lungo silenzio qualcuno torna a parlare e comincia a raccogliere adesioni che potrebbero condensarsi in un fatto.